Erano meno di mille, 962 per l’esattezza. Niente camicie rosse, ma cappucci neri, grembiulini e compassi. E poi il potere più forte di tutti: quello del ricatto fondato sulle cose taciute. Se è vero che in Italia non esistono misteri di Stato ma solo segreti di Stato – perché qualcuno che sa alla fine c’è sempre – allora la P2 è il feticcio della storia della Repubblica. L’emblema di come in questo Paese le domande importanti non trovano mai risposta: devono rimanere inevase. Quarant’anni dopo la scoperta degli elenchi della P2, un interrogativo tra i tanti rimane ancora in sospeso: i nomi ritrovati esattamente quarant’anni fa a Castiglion Fibocchi erano davvero quelli di tutti i componenti della loggia di Licio Gelli? E in caso contrario che fine hanno fatto gli altri nomi, ammesso che ci fossero davvero? E poi: a cosa serviva davvero quella loggia coperta che metteva insieme politici, alti ufficiali delle forze armante e giornalisti? E il capo di tutta quella baracca eversiva era davvero “solo” Gelli, il maestro venerabile con un passato da fascista, l’uomo che per Giulio Andreotti era solo “il direttore della Permaflex di Frosinone“, salvo poi ritrovarselo in Argentina, invitato all’insediamento del presidente Peron? Domande, punti interrogativi su una sigla che ha proiettato le sue ombre su buona parte dei misteri italiani.

Quell’indirizzo della Giole sull’agenda di Sindona – Come tutte le cose che gestiscono il potere vero, l’esistenza della P2 diventa di pubblico dominio lo stesso giorno in cui la comincia il suo declino. È la mattina del 17 marzo del 1981 quando i finanzieri inviati dai giudici di Milano, Giuliano Turone e Gherardo Colombo scoprono gli ormai notissimi elenchi. I magistrati stanno indagando sull’omicidio di Giorgio Ambrosoli, il liquidatore della banche di Michele Sindona, che nell’estate del 1979 era fuggito da New York e poi aveva fatto finta di essere rapito da inesistenti terroristi di sinistra. Invece si è rifugiato in Sicilia, protetto dai boss di Cosa nostra: per avvalorare la tesi del sequestro si fa sparare a una gamba da un medico massone, Joseph Miceli Crimi, uno che ha contatti frequenti con Gelli. Per questo motivo Turone e Colombo inviano i finanzieri a perquisire quattro indirizzi di pertinenza del maestro Venerabile. Nei primi tre recapiti, compresa la famosa villa Wanda, non trovano nulla. Il quarto indirizzo è nuovo, nel senso che era annotato su un’agenda sequestrata negli Stati Uniti a Sindona e inviata poco tempo prima ai giudici di Milano: segnato sotto il nome di Gelli c’è il recapito della sede della Giovane Lebole (Giole), nota azienda d’abbigliamento di Castiglion Fibocchi. È lì che i finanzieri del maresciallo Francesco Carluccio trovano una cassaforte: la aprono e dentro c’è una ordinatissima lista di 962 nomi. Sono annotati in modo puntiglioso con tanto di titolo, città, numero di fascicolo.

Le liste della P2 – In quelle liste ci sono i nomi di 208 tra militari e appartenenti alle forze dell’ordine (43 generali e l’intero vertice dei servizi segreti), 11 questori, 5 prefetti, 44 parlamentari, due ministri, banchieri (lo stesso Sindona e Roberto Calvi), imprenditori, professionisti, magistrati e giornalisti. Sono gli appartenenti alla loggia Propaganda 2: una lista che da lì a pochi giorni fa esplodere un caso politico giudiziario senza precedenti nella storia d’Italia. Un buco nero capace di ingoiare stragi e delitti mai risolti. Erano iscritti alla P2 molti dei componenti del comitato di esperti nominato dall’allora ministro dell’Interno, Francesco Cossiga, durante il sequestro di Aldo Moro. Erano della P2 i vertici degli organi investigativi attivi a Palermo nel 1980, l’anno dell’omicidio di Piersanti Mattarella. Era stata la P2 di Gelli, almeno secondo gli ultimi elementi raccolti dai magistrati di Bologna, a finanziare la strage della stazione del 2 agosto precedente. Tutte queste cose, però, in quei giorni di marzo del 1981 non si potevano sapere. Come non si poteva sapere che tredici anni dopo uno degli iscritti alla P2, il “dott. Silvio Berlusconi di Milano”, avrebbe vinto le elezioni politiche. Quello che Turone e Colombo scoprono subito, invece, è che tra quei nomi c’è pure il capo di gabinetto dell’allora presidente del consiglio, Arnaldo Forlani. È lui che li riceve quando i due si recano a Palazzo Chigi per consegnare le copie degli elenchi della loggia. “Dopo i sequestri passammo una notte in bianco per fotocopiare e autenticare per tre volte ogni pagina dei documenti sequestrati a Gelli”, racconta oggi Turone. Un’operazione che non consentirà a nessuno di smentire la genuinità di quei documenti. Come sempre capita per le vicende italiane, infatti, il moto di sdegno esploso per lo scandalo P2 finisce molto presto. Si normalizza insieme alla richiesta di legalità e giustizia. Dopo le dimissioni di Forlani, sostituito da Giovanni Spadolini, primo premier laico della storia repubblicana, l’inchiesta giudiziaria viene spostata da Milano al porto delle nebbie di Roma, e lì finisce come dove finire: inabissata. Gelli finirà implicato in varie inchieste, fuggirà all’estero, ma per i fatti della P2 se la caverà con una sentenza leggerissima emessa solo molti anni dopo.

La commissione Anselmi e l’ipotesi delle liste incomplete – Nel frattempo in tanti cercano di mettere in dubbio la veridicità degli elenchi sequestrati nella sede della Giole. Se non ci riescono è merito anche del lavoro svolto dalla commissione parlamentare d’inchiesta guidata dalla deputata Dc Tina Anselmi. Per tre anni si ricostruiscono rapporti, contatti, legami, vengono analizzati tutti i movimenti del conto intestato a Gelli alla Banca Popolare dell’Etruria (si chiamava conto “Primavera“) e alla fine si può scrivere che quelle liste sono da considerare “autentiche: in quanto documento rappresentativo dell’organizzazione massonica denominata Loggia P2 considerata nel suo aspetto soggettivo” e “attendibili in quanto sotto il profilo dei contenuti, è dato rinvenire numerosi e concordanti riscontri relativi ai dati contenuti nel reperto”. Ma non solo. La commissione d’inchiesta, infatti, ipotizza come quegli elenchi non siano completi. “Possiamo in primo luogo sottolineare che esistono non pochi elementi o indizi di prova che militano a favore della ipotesi di un’incompletezza delle liste che, pertanto, non comprenderebbero nomi di altre persone, oltre quelle elencate, pur ugualmente affiliate alla Loggia”, si legge nella relazione finale. Quali sono gli elementi ai quali si riferiva la commissione? Per esempio la lettera inviata da Gelli a un altro massone in cui il Venerabile scrive: “L’esame dello schedario centrale non è ancora terminato e, inoltre, se non trovi alcuni degli elementi da te segnalati, è per motivi che ti spiegherò al nostro prossimo incontro durante il quale ti indicherò anche le ragioni per cui ti sono stati affidati alcuni elementi che non erano stati segnalati da te”. E ancora: “Mi chiedi se abbiamo molti candidati: ti rispondo che il proselitismo che abbiamo avuto in questi ultimi tre anni è stato veramente massiccio: nel 1979 siamo arrivati ad oltre quaranta iniziazioni al mese”. C’è poi l’intervista all‘Espresso, in cui già il 10 luglio 1976 – cinque anni prima del sequestro – Gelli sosteneva che “l’organico della Loggia ammontava all’epoca a ben duemilaquattrocento unità“. Il maestro venerabile sosterrà di aver querelato il settimanale per quell’intervista, ma la commissione non troverà traccia di quella denuncia.

Il massone: “Quella lista non è completa, io queste cose le conosco” – A spingere i parlamentari guidati da Anselmi sulla pista degli elenchi incompleti c’è anche un testimone di eccezione: si chiama Vincenzo Valenza, è un dignitario massonico di una delle discendenze di piazza del Gesù, iscritto alla P2, e si presenta in commissione per rispondere alle domande dei parlamentari. La prima è questa: “A suo avviso quella lista lì, oltre a essere una lista veritiera, è una lista completa? Ci rifletta molto proprio per la sua esperienza”. Risposta: “Non ho bisogno di rifletterci, le dico di no, per me non è completa. Siccome io sono stato dirigente di una obbedienza queste cose le conosco. C’è questa diversità di numero“. Valenza si riferisce alla grossa discrepanza che c’è nella ordine consequenziale dei numeri delle varie tessere. “Ogni tessera c’è un numero. Gli altri dove sono? Facciamo una percentuale, il dieci, il venti percento (di numeri appartiene) a morti e messi in sonno? Ma non corrisponde”. È vero: c’è un buco nella consecutio numerica delle tessere. E poi: come mai nessuna tessera ha un numero inferiore al 1.600? “Non lo può dire nessuno, chissà dove saranno andati a finire quelli dal 1.599 in giù”. I commissari domandano: era possibile che Gelli inserisse nell’elenco nomi di persone a loro insaputa? “No. Questo lo escludo perché non avrebbe senso”, risponde Valenza, che si dice sicuro: “Sono convinto fossero molti di più”. E quindi che senso ha quella lista di 962 nomi? “Io – dice il massone – suppongo che siano stati quelli messi a disposizione nel caso in cui ci fosse una perquisizione. Era assurdo che questa roba fosse stata tenuta lì a Castiglion Fibocchi“.

Perché si chiama P2? La storia della P1 –Per tutti questi motivi la commissione scrive che “non è azzardato ritenere che la forza e la capacità operativa della loggia, acquisite mediante la penetrazione nei più importanti settori delle istituzioni dello Stato e nei centri economici, fossero maggiori di quanto documentano gli elenchi, i quali sarebbero quindi approssimativi per difetto rispetto all’effettiva consistenza della Loggia P2 anche per queste più generali considerazioni di merito, che si aggiungono ai riscontri obiettivi citati”. Ma se gli elenchi erano “approssimativi per difetto” vuol dire che ne esistevano altri? E c’entra qualcosa la P1, della cui esistenza parla per la prima volta lo stesso Valenza in commissione? Si trattava di una loggia dall’ex gran maestro Lino Salvini, l’uomo che nel 1971 nomina Gelli “segretario organizzativo della Loggia P2”. Nelle intenzioni di Salvini la P1 doveva essere ancora più segreta ed elitaria della P2: doveva avere pochi componenti e tutti di altissimo livello. Proposito fallito, almeno secondo Valenza. Il motivo? La loggia di Gelli aveva ormai acquisito troppa importanza: “Parlando di P2 erano tutti impazziti, erano disposti a farsi operare pur di entrare alla P2. C’era una corsa indescrivibile”.

L’esempio delle 2 piramidi – Per spiegare cosa fosse la P2 e chi potessero essere i piduisti a volto coperto la commissione Anselmi fece un esempio particolarmente efficace: “Possiamo pensare ad una piramide il cui vertice è costituito da Licio Gelli; quando però si voglia a questa piramide dare un significato è giocoforza ammettere l’esistenza sopra di essa, per restare nella metafora, di un’altra piramide che, rovesciata, vede il suo vertice inferiore appunto nella figura di Licio Gelli. Questi è infatti il punto di collegamento tra le forze ed i gruppi che nella piramide superiore identificano le finalità ultime, e quella inferiore, dove esse trovano pratica attuazione, ed attraverso le quali viene orientata, dando ad essa di volta in volta un segno determinato, la neutralità dello strumento”. E dunque il Venerabile era una sorta di trait d’union tra due sistemi di potere: uno in alto che elaborava ordini, uno in basso che li eseguiva. La P2 era la piramide inferiore. In mezzo c’era Gelli. E sopra?

Il magistrato: “Nel piano di Rinascita volevano fare un club dei migliori” – Sarà per questo motivo che ancora oggi Turone definisce Gelli come un “notaio di un sistema occulto”. Quarant’anni dopo aver scoperto la P2, il giudice non crede all’esistenza di altri elenchi ma ipotizza l’esistenza di esponenti che non figurano in alcuna lista. “Quelle liste sono complete. Però è noto come esistessero pesonaggi di livello superiore, i cosiddetti ‘noti all’orecchio del gran Maestro’, ma non occorreva fossero iscritti da qualche parte”. Turone ricorda che uno degli obiettivi del Piano di Rinascita democratica, cioè il programma di Gelli, puntava – tra le altre cose – “alla costituzione di un club (di natura rotariana per l’etereogenita’ dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati, nonche’ pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di 30 o 40 unita”. Una sorta di comitato di saggi che “si assumeranno l’onere dell’attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare”. Sono quelli i nomi dei piduisti coperti?

L’ex gran maestro: “Nel vero elenco della P2 più di 3mila nomi”- Più di recente Giuliano Di Bernardo, ex gran maestro del Grande Oriente, ha sostenuto davanti alla commissione Antimafia che “quello sequestrato dalla magistratura era solo parziale. Gelli mi offrì l’elenco vero della P2 tramite un suo emissario che commentò: ‘così puoi ricattare tutta l’Italia”. L’ex massone, che si è dimesso nel 1993 subito dopo le stragi, ha sostenuto nel 2017 che “quando furono sequestrati gli elenchi a casa di Gelli, si disse che gli iscritti alla P2, come risultava in quel fascicolo, erano 800-900: io credo ci sia altro elenco di oltre 3mila nomi e su questo ho delle evidenze“. Che evidenze? “Dopo la mia elezione chiede di incontrarmi il segretario personale del gran maestro Battelli. Questo segretario voleva fare una dichiarazione al Gran maestro da firmare. Infatti lo incontro e mi dice che una sera Gelli si presenta nello studio del Gran maestro Battelli con un gran fascicolo e gli dice ‘questo è l’elenco della P2‘. Battelli inizia a sfogliarlo e diventa di tutti i colori. Alla fin fine, Battelli chiude e dice a Gelli: ‘Riprendilo, questo io non l’ho mai visto”. Per questo ho la cognizione che il vero elenco esiste ma non sappiamo dove”. C’erano altri elenchi dunque? Liste di nomi talmente scottanti da essere coperte persino tra quelle già considerate segrete? E se c’erano che fine hanno fatto^ Sulla questione dell’elenco degli iscritti il gran maestro della P2 ha sempre tenuto un atteggiamento ambiguo (come d’altra parte per la maggior parte delle questioni). Non ha mai confermato che quei 962 fossero tutti i massoni iscritti alla P2, e nemmeno che ce ne fossero degli altri. Negli 2010, però, intervistato da La 7 su quelle liste, rispose: “Certe cose conviene dimenticarle, distruggerle, incenerirle. Una volta incenerite non se ne parla più. Incenerire qualcosa è il miglior archivio del mondo”.

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