Una campagna vaccinale centralizzata e organizzata in modo efficiente grazie a un sistema di dati digitalizzati e alla tempestività della somministrazione delle dosi, arrivate ormai a più dell’80% degli over 50 (l’obiettivo del governo è del 90%) e al 55% della popolazione complessiva. Israele – dove oggi l’Rt è pari a 1 – è prima al mondo per la somministrazione dei vaccini: ha già immunizzato più di 4,8 milioni di suoi cittadini (su un totale di 9,2 milioni di abitanti), 3,5 milioni dei quali hanno già ricevuto la seconda dose. Una progressione rapida di inoculazioni cha ha fatto crollare morti, ricoveri e le possibilità di uno sviluppo severo della malattia, risparmiando così il sovraccarico sulle strutture ospedaliere. L’attenzione tuttora è massima, specie sulla variante inglese, motivo per cui dal 25 gennaio è chiuso l’aeroporto Ben Gurion. Ma il governo ha messo a punto anche il “green pass”, il documento che certifica o la ricevuta vaccinazione o la guarigione dal Covid-19 (più avanti includerà anche chi è negativo al tampone) e che consente a chi ne è in possesso di partecipare in luoghi pubblici a eventi al chiuso (cioè in cinema e teatri, massimo 300 persone) o all’aperto (massimo 500 persone) e che dalla settimana prossima permetterà anche l’accesso ai ristoranti.

A fare il punto sulla campagna vaccinale in un briefing online promosso dalla Europe Israel Press Association (EIPA) sono stati Ran Balicer, Senior Advisor del governo israeliano sulla risposta alla pandemia e Chief Innovation Officer di Clalit, la più grande cassa mutua israeliana (le altre sono Maccabi, Meuhedet e Leumit); Aiman Saif, Project Coordinator del programma vaccinale anti-Covid rivolto alle comunità arabe; e la dottoressa Sharon Alroy-Preis, Public Health Services Head presso il Ministero della Salute israeliano. In pratica, l’omologa di Anthony Fauci in Israele.

Le strategie “high and low tech” per arrivare alla popolazione – “Abbiamo affrontato la terza ondata con due strumenti: lockdown e vaccinazioni“, spiega Balicer, che pone l’accento sul sistema sanitario israeliano, fortemente digitalizzato. La campagna vaccinale ha fatto affidamento sulle Hmos (Health Maintenance Organizations), le quattro casse mutue no profit finanziate dallo Stato alle quali i cittadini possono iscriversi. I loro database interamente digitali hanno consentito una identificazione rapida delle categorie che avevano la precedenza per ricevere il farmaco anti-Covid. La notifica della prenotazione della prima e seconda dose può avvenire via app, ma i cittadini che ne sono sprovvisti vengono direttamente contattati a casa. Un approccio, spiega Balicer, fatto di strategie “high and low tech”, che punta a raggiungere più persone nel minore tempo possibile.

Fondamentale anche sciogliere dubbi e resistenze di comunità specifiche, come ad esempio quella ortodossa, poco incline fin dall’inizio della pandemia al rispetto delle misure di contenimento del contagio, lockdown incluso. Per questo Balicer ha incontrato personalmente per due ore un rabbino insieme alla sua comunità, e risposto a tutte le loro domande. Un approccio che si è dimostrato vincente e che ha convinto molti partecipanti a ricevere il vaccino. Le stesse operazioni vengono effettuate anche all’interno delle comunità arabe, dove Saif spiega che i contagi stanno aumentando e che l’informazione per combattere le fake news è prioritaria per evitare la diffusione delle infezioni. La chiave, aggiunge Balicer, “è la trasparenza. Mi hanno chiesto quali fossero gli effetti del vaccino a 2/3 anni dalla somministrazione e ho detto chiaramente che al momento non possiamo saperlo. Ma ho anche sottolineato come gli studi condotti finora (vedi slide) dimostrino con chiarezza che il farmaco riduce drasticamente la mortalità e la possibilità di sviluppare la forma grave della malattia”.

Nelle centinaia di centri di vaccinazione in tutto il Paese, le somministrazioni procedono velocemente e Balicer aggiunge che “nessuna dose viene buttata”, perché tutte quelle rimanenti vengono comunque somministrate in tempo utile. Finora la stragrande maggioranza dei vaccini utilizzati è Pfizer Biontech, perché è stato il primo approvato dalla Fda e il primo ad arrivare in Israele, nonostante il governo, spiega Alroy-Preis, abbia stretto accordi con diverse società farmaceutiche per l’approvvigionamento.

Il mancato rispetto dell’isolamento di chi arrivava in Israele – La campagna è iniziata il 19 dicembre, dopo che l’Oms aveva comunicato la presenza della variante inglese, che oggi “rappresenta il 90% dei casi nel Paese”. Allora le autorità sanitarie israeliane si erano accorte che chi proveniva dall’estero non restava – come invece avrebbe dovuto – in isolamento o nei Covid hotel, favorendo così la diffusione del contagio. “Abbiamo chiesto a una compagnia in grado di tracciare i telefoni di controllare quelli di chi proveniva dall’estero”, spiega Alroy-Preis che precisa come la società a cui si riferisce offra questo servizio senza violare la privacy, cioè senza rilevare e rivelare a chi appartengano i dispositivi controllati. “La persona in possesso del device non avrebbe dovuto allontanarsi più di 500 metri per 10 giorni, con la sola eccezione di due uscite in quell’arco temporale per effettuare il primo tampone e quello di controllo“. Alla luce dei risultati – “il 60% di chi veniva dall’estero non rispettava l’isolamento” – Israele ha successivamente deciso di chiudere l’aeroporto Ben Gurion. Chiusura tuttora in vigore anche per evitare che le varianti si diffondano nel Paese ostacolando la campagna vaccinale.

Quanto alla potenziale collaborazione con Danimarca e Austria sulla produzione dei vaccini, Alroy-Preis non aggiunge ulteriori dettagli, ma precisa che è certamente intenzione del governo costruire un proprio stabilimento in grado di produrre vaccini, incluso quello per il Covid-19, e che Israele è disponibile a diventare parte del processo produttivo di vaccini già esistenti. Che il Paese sia già vicino all’immunità di gregge? Troppo presto per Balicer, perché i minori di 16 anni che rappresentano circa il 30% della popolazione “non potranno essere vaccinati fino a quando non saranno terminati gli studi che potranno o meno dare il via libera”. La prospettiva, al momento, è di continuare a mantenere le misure anti-contagio e di procedere speditamente nella somministrazione delle dosi. Cercando anche di arrivare a comunità e gruppi – incluso quello arabo, che rappresenta il 21% della popolazione – dove al momento le infezioni sono significative, i tamponi pochi e i centri di vaccinazione poco accessibili.

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