Li aveva lasciati con un discorso notturno in diretta Zoom per convincerli alla responsabilità verso il governo Draghi, si ripresenta nel momento più difficile, quando espulsioni e guerre interne rischiano di frantumare tutto. Il Sì di Giuseppe Conte a Beppe Grillo è il primo atto di un cambiamento radicale dentro i 5 stelle. L’ex premier torna così sulla scena politica: esattamente un mese dopo la crisi provocata da Matteo Renzi con l’obiettivo di farlo sparire (Conte, l’alleanza M5s-Pd e il governo) e neanche tre giorni dopo aver pronunciato il suo discorso per una nuova Europa all’università di Firenze. Ma soprattutto aderisce al progetto di rilancio del M5s e lo fa nel momento in cui la sua popolarità personale tocca uno dei picchi più alti.

C’è un dettaglio, non di poco conto, da considerare: l’avvocato non è mai stato iscritto al M5s (non lo è tuttora) e fino a quando è stato a Palazzo Chigi ha evitato il più possibile di essere trascinato nelle dinamiche del gruppo. Non era il momento e non sarebbe stato opportuno. Ma ora la scena è completamente diversa: l’ingresso del M5s nell’esecutivo con Forza Italia ha creato uno spartiacque nella storia del Movimento. C’è una parte consistente, in molti casi parliamo di fondatori dei 5 stelle (non solo Alessandro Di Battista o Nicola Morra, ma anche interi gruppi di attivisti storici), che ha abbandonato il progetto parlando di tradimento. Grillo, mai come in questa fase unico regista, sa che la ferita è dolorosa e senza precedenti, ma è anche convinto della linea scelta in nome della “transizione ecologica”. Il fondatore crede davvero che possa ancora nascere qualcosa di nuovo, è convinto che “l’occasione sia storica” e vuole mettere in atto la seconda fase del processo costi quel che costi: ovvero rifondare completamente un Movimento all’apparenza sempre più stanco e sul punto di implodere. Possibile che sia l’alba di un “Movimento 5.0” o è solo un sogno? E’ presto per dirlo, certo è che per avere una chance deve per forza ricorrere alla sua carta più forte: la leadership di Giuseppe Conte. Strappato il Sì, l’imperativo è fare in fretta: più il tempo passa, più i dissidi si sedimentano e più l’ascendente dell’ex premier rischia di calare.

Perché Grillo ha bisogno di Conte – C’è stato un bivio che ha segnato la storia dell’ex presidente del Consiglio. Poco dopo le dimissioni, fallito il progetto della ricerca dei responsabili in Parlamento, si è presentato davanti a Palazzo Chigi. E in quel discorso, quello che ora ricordiamo tutti per l’immagine del banchetto in mezzo alla strada con sopra i microfoni, ha fatto una scelta: non ha polemizzato (non troppo) con il pugnalatore Matteo Renzi e non ha cavalcato le richieste di ritorno alle urne. Anzi, pochi giorni dopo, si è presentato su Zoom, assemblea dei parlamentari M5s, e ha chiesto di “non voltare le spalle al Paese”. Un’uscita di scena che lo ha consacrato agli occhi degli italiani come la vittima di una manovra di palazzo e che ha contribuito a farne accrescere ancora di più i consensi. Da lì sono seguiti: il video degli applausi dei dipendenti di Chigi e il post di addio con oltre un milione di like. Una popolarità che ora, il Movimento 5 stelle, non può permettersi di sprecare. Perché se c’è qualcuno che può risollevare le sorti del progetto politico di Beppe Grillo, al momento è solo l’ex premier. Lo sa bene il fondatore che assiste alle espulsioni e fuoriuscite dei suoi, con la nascita di sempre nuove correnti interne, e a fatica riesce a tenere in piedi la sua creatura. Grillo da tempo si era ritirato dalla scena politica, ma non ha mai interrotto i rapporti con Conte. Un asse da sempre molto forte che si è saldato in un momento ben preciso: quando, in piena crisi del governo Conte 1 e mentre Di Maio era già pronto a chiedere la testa del premier, Grillo lo ha blindato pubblicamente con un post che si è rivelato decisivo. Fu lì la vera discesa in campo dell'”elevato” (come si fa chiamare Grillo provocatoriamente, ma neanche troppo) per Conte e il resto è la storia del governo giallorosso.

Gli effetti del rientro di Conte sul governo e sugli espulsi. E sul progetto da federatore – Di sicuro il ritorno politico di Conte avrà un contraccolpo dentro e fuori il M5s. Intanto perché, per il Movimento, si apre una nuova prospettiva e, soprattutto, un orizzonte di crescita che fino a questo momento sembrava impensabile. E innanzitutto dal punto di vista dei consensi elettorali: quel 15 per cento che rischiava di essere svuotato dai malumori interni, ora può essere almeno un punto di partenza. Anche in questo senso va letto il riferimento, nella nota arrivata da fonti vicine a Conte dopo il vertice di domenica, alla necessaria apertura “alla società civile“. La figura dell’ex premier, per ora, gode di una forza attrattiva (anche oltre il perimetro dei 5 stelle) e quella forza può essere funzionale per il M5s. Ma in che campo? Al momento sono tante le domande e poche le risposte. I pilastri elencati in queste ore sono quelli delle origini del Movimento: sicuramente la transizione ecologica voluta da Grillo, poi legalità (e lotta alla corruzione) e battaglie contro casta e diseguaglianze. Certo nessuno ha dimenticato l’intervista di Luigi Di Maio a Repubblica di pochi giorni fa, quando ha definito il Movimento una “forza liberale e democratica”. E si sa, nel riposizionamento tanto può succedere.

La forza d’attrazione di Conte vale per nuovi elementi, ma anche per chi ha deciso di lasciare il Movimento. E’ sicuramente un processo molto complicato. Fare la strada a ritroso, non è così facile per chi come Di Battista o Morra, ma anche Barbara Lezzi e Alessio Villarosa, ha visto nel Sì a Draghi un tradimento a tutto quello in cui hanno sempre creduto. Però resta un tema centrale: si tratta di parlamentari che hanno fatto la storia del Movimento 5 stelle, figure di riferimento senza le quali il M5s non sarebbe dove si trova ora, e in una fase di rifondazione potrebbero essere molto utili. Se però questo è il capitolo più complesso, resta il fatto che la presenza di Conte avrà sicuramente un effetto sulla tenuta dei gruppi parlamentari. E gruppi parlamentari più compatti, soprattutto perché vedono un’idea di progetto futuro, significa anche più peso negli equilibri del governo Draghi. Le 36 espulsioni alla vigilia delle nomine dei sottosegretari non hanno aiutato e mai come ora è stato chiaro che serve la voce forte di un leader per contare al tavolo dell’esecutivo.

L’ultima domanda, che al momento non può avere risposta, riguarda il futuro del progetto da federatore della coalizione Pd-M5s-Leu. Quella che sembrava la soluzione acclamata da tutti gli ex alleati, al momento si è molto raffreddata. E Conte, questo è stato il ragionamento delle ultime ore, rischia di bruciare il momento di popolarità dietro il progetto di una coalizione che potrebbe anche non vedere mai la luce. Certo resta un punto saldo: nel suo discorso all’università di Firenze venerdì scorso, l’ex premier ha parlato del suo manifesto europeista e ha posto obiettivi molto ambiziosi alla politica. O meglio a se stesso. Obiettivi che vanno sicuramente oltre la guida del M5s.

Che fine farà il comitato a cinque e le critiche per i “caminetti” – Conte guarda molto avanti (e in alto), questo non è una novità. Ma se deve rifondare i 5 stelle, dovrà anche guardare all’interno: dal nodo espulsioni a quello della nuova catena di comando. Quest’ultimo, molto probabilmente, sarà risolto con un passaggio lampo sulla piattaforma Rousseau, ma che lascerà traccia nella storia della partecipazione interna. O meglio di quella democrazia diretta che lo stesso Conte non si dimentica mai di citare nei suoi discorsi. Neanche due settimane fa infatti, si è votato online per cambiare lo statuto: quel cambiamento ha eliminato la figura del capo politico e approvato la nascita di un comitato di 5 membri in carica per tre anni. Ecco a quel cambiamento non si è arrivati con facilità: c’è voluto più di un anno di discussioni interne, tra assemblee e incontri, e soprattutto una lunga reggenza in mano a Vito Crimi. Ora di quel comitato si dovrà decidere cosa farne: potrebbe restare come segreteria politica affiancata a Conte, ad esempio. Ma l’ex premier, lo ha già detto, sulla composizione vorrà avere voce in capitolo. Certo far saltare o indebolire il comitato, non è solo una questione di dibattito interno o un banale tecnicismo. Per il Movimento che non voleva essere un partito, la discussione sulla struttura è molto delicata e rischia di aprire altri scontri.

L’altro giorno è stato il deputato Luigi Gallo su ilfattoquotidiano.it a mettere in guardia sui rischi del ritorno dell’uomo solo al comando. Ma non è solo. Ieri, a vertice in corso, nella chat dei parlamentari è stato il senatore Primo Di Nicola a protestare per il metodo scelto: la convocazione è avvenuta all’oscuro dei gruppi e, senza alcun mandato, si è deciso di azzerare il lavoro di un anno. Il problema, è il ragionamento, è la decisione di muoversi con quelle modalità oligarchiche che hanno sempre contestato agli altri partiti. Un malumore che è forte nei gruppi, divisi tra la speranza di salire sul nuovo carro e l’ennesima delusione per l’aver ignorato l’assemblea.

Ecco, proprio nei rapporti con l’eventuale segreteria politica o comunque con i vari esponenti del Movimento, dovrà ora cimentarsi l’ex premier. Lo farà per la prima volta non da presidente del Consiglio che tiene in piedi un governo, ma da esponente politico che deve fare i conti con correnti e dinamiche ormai incrostate. Nel suo ultimo intervento a Italia 5 stelle a Napoli, l’ultima manifestazione di piazza del 2019, proprio Conte pronunciò dal palco una frase che riguardava il governo giallorosso, ma che si sposa bene anche per la nuova fase: “La credibilità di questo governo dipende dal nostro impegno, ma anche dal vostro sostegno“. Insomma l’ex premier ha ben chiaro che non si può entrare nel M5s senza considerare la base che c’era prima di tutto e di tutti. E proprio la preservazione di quello che Grillo chiama “spirito di comunità“, sarà una della prime condizioni da valutare nel progetto di rifondazione del Movimento.

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