Un po’ curato di campagna e un po’ medico condotto, ma anche un artista prestato alla medicina, per via della bella voce che modula accompagnandosi alla chitarra in brevi filmati che invia ai suoi pazienti, Domenico Restuccia è un dottore di medicina generale che esercita la propria professione (‘missione’ secondo i suoi assistiti) da circa 23 anni in Valtidone, tra Pecorara e Trevozzo, in quella parte della provincia di Piacenza che guarda verso la Lombardia.
Non deve essere stato facile per uno nato a Nicotera, in provincia di Vibo Valentia, sulla Costa degli Dei, un antico greco per capirci, adattarsi al clima sia sociale sia meteorologico di queste colline e della pianura padana. “Per prima cosa ho dovuto imparare la lingua, è la base per capire le persone e conoscersi”. Non nasconde che quella di salire al Nord con sua moglie, medico anche lei, sia stata una scelta di vita per poter esercitare con meno pressioni il proprio lavoro: “Per capirci, io sto con Gratteri”.
Sono mesi che vive in una specie di cotta di plastica e per mesi ha dormito nella tavernetta di casa, per timore di contagiare i figli, che ha potuto riabbracciare solo dopo la fine del primo lockdown. Sento in lui riecheggiare le parole di altri suoi colleghi: “Nella prima fase si è assistito alla paralisi del territorio delle cure primarie con medici di medicina generale lasciati soli e se possibile intralciati da una burocrazia senza senso”. Un controllo del rapporto medico-paziente che dettava linee guida in continuazione su qualunque atto medico.
“Per assurdo se non avessimo saputo che si trattava di Covid 19, saremmo stati più efficaci. Con ogni probabilità prima di febbraio, abbiamo curato e guarito inconsapevolmente casi di Covid 19, praticando i trattamenti consueti e applicando la nostra competenza. Non si è trattato solo di direttive nazionali, ma anche regionali e provinciali e questo ci ha paralizzato. Di questa fase la storia ricorderà come la burocrazia possa diventare mortale”.
Nella seconda ondata le cose sono totalmente cambiate e oggi, secondo Restuccia, il “modello Piacenza” funziona e potrebbe essere preso come una pratica da seguire da altre parti. “Speriamo che la lezione serva anche per il futuro”; rimane comunque l’idea che le pandemie non si possono gestire con Sistemi sanitari regionali, ma con direttive nazionali basate sulla capillarità degli ambulatori di medicina generale sui territori, compresi quelli più periferici, senza accorpamenti alle Case della Salute, con un continuo flusso di informazioni dalla periferia al centro e viceversa, sapremo far fronte anche alle future pandemie. Sarebbe servita “una legge del buon senso, il tempo speso nel compilare moduli è stato superiore a quello per la cura dei malati, una forma di buropazzia”.
Restuccia è come tanti in prima linea da quasi un anno. Nel 1999 il premio Nobel per la pace è stato assegnato a Medici senza frontiere, le frontiere oggi sono a colori, non ci sono colpi di cannone, ma i caduti negli Stati Uniti hanno superato quelli della Guerra del Vietnam, e come i ragazzi di allora il dottore ha imbracciato la chitarra e ha scritto una canzone, “Il silenzio di marzo”, nata nelle lunghe notti trascorse nella tavernetta, accompagnando gli accordi con qualche lacrima.
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