“E’ molto lento e molto complicato. Dobbiamo accelerare, non si spende tutto quel capitale politico per avere un piano che viene rinviato per ragioni tecnocratiche“. A parlare, intervistato dal Financial Times, è il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire. E l’appello ad “accelerare” è rivolto per una volta all’indirizzo della Commissione europea. Mentre da Bruxelles filtra preoccupazione per la crisi politica italiana e la battuta d’arresto nella preparazione del Recovery plan, la Francia inizia dunque a manifestare insofferenza per quelli che Le Maire definisce “blocchi” nell’esborso dei 750 miliardi del Next Generation Eu, 40 dei quali andranno a Parigi. Non solo: il ministro sollecita anche a rivedere il Patto di stabilità, ora sospeso, cosa che era già in programma ma sta andando per le lunghe.

La tabella di marcia in realtà non è cambiata rispetto alle previsioni: la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, una settimana fa ha confermato che l’obiettivo è iniziare a versare i prefinanziamenti, cioè gli anticipi (13% del totale) entro fine giugno, a patto che i Paesi presentino i Piani definitivi entro fine aprile. Da allora l’esecutivo Ue avrà due mesi per valutarli, poi entrerà in gioco anche il Consiglio che dirà la sua entro un mese. Insomma: prima dell’estate non arriverà nulla. La Francia però vorrebbe spendere metà del suo piano di ripresa France Relance da 100 miliardi, finanziato per il 40% con risorse Ue, entro fine anno, e chiede di accelerare. “I soldi europei devono arrivare prima possibile”, chiude Le Maire. “Questo è forse il momento più difficile della crisi perché ci sono nuove varianti del virus molto infettive, i vaccini non sono stati ancora del tutto implementati e i cittadini sono molto stanchi, in particolare i commercianti, gli artigiani, le piccole imprese”.

L’altra urgenza è “rivalutare le regole” sulle finanze pubbliche per “tener conto della realtà”, cioè del fatto che ora abbiamo “i più alti livelli di debito della storia, i tassi di interesse più bassi della storia e il maggiore fabbisogno di investimenti della storia”. Un quadro incompatibile con le pietre miliari del Patto che limitava al 3% del pil il deficit annuale e al 60% il rapporto debito/pil. Del resto, ricorda il Financial Times, anche il “falco” Wolfgang Schäuble, ex ministro delle Finanze tedesco che ora presiede il Bundestag, si è detto a favore di una riforma: “Dopo la pandemia, molte cose saranno completamente diverse da prima”. E il clima è cambiato radicalmente anche nella sua Germania: il capo di gabinetto del governo federale tedesco, Helge Braun, in un contributo pubblicato dal quotidiano economico Handelsblatt ha scritto che ci vorranno anni prima che Berlino torni a rispettare il dogma del pareggio di bilancio.

“Per arrivare ad una rapida ripresa in un quadro affidabile per gli investimenti, è necessario stabilizzare i contributi alla sicurezza sociale fino alle fine del 2023 ed evitare aumenti di tasse”, ha scritto, dunque “concretamente, il freno al debito non potrà essere rispettato nei prossimi anni, anche con una disciplina di spesa rigorosa”. Il ‘freno al debito pubblico’ è stabilito per Costituzione dal 2009 e prevede che spese e introiti siano equilibrati, in pareggio appunto. L’articolo 115 prevede tuttavia deroghe nel caso di casi di emergenza, ad esempio in situazioni di disastri naturali o eccezionali “che sfuggano al controllo dello stato e condizionino significativamente la sua situazione finanziaria”. Il vincolo è stato sospeso lo scorso anno a causa della pandemia.

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