Negli ultimi 200 anni l’archetipo del sapere è stato quasi esclusivamente quantitativo. I numeri dicono tutto. E spesso è vero. Per esempio, confrontare i dati di mortalità pandemica della Lombardia con quelli di altre aree geografiche simili potrebbe insinuare qualche dubbio sull’eccellenza lombarda.

Secondo Edgar Morin, però, “il calcolo (statistiche, sondaggi, crescite, Pil) invade tutto. Il quantitativo scaccia il qualitativo. L’umanesimo è in regressione sotto la spinta tecnico-economica”. Come scrissi nel 2019 in Morte e resurrezione delle università, dovremmo “riscoprire il valore della conoscenza qualitativa accanto a quella quantitativa”. I vari fallimenti dei modelli matematici, che prevedevano una risposta del mondo sviluppato alla pandemia assai più efficace ed efficiente di quella che stiamo registrando, dovrebbe farci riflettere.

In un campo dominato da modelli e formule, quale la disciplina a cui ho dedicato la mia vita professionale, mi ha incuriosito una ricerca ibrida, quali-quantitativa, in corso di pubblicazione. Lo studio, basato su una massiva analisi di osservazioni remote, rivela che, dal 1984 a oggi, circa uno su tre dei grandi fiumi americani ha cambiato colore. Molti dei corpi idrici sembrano lentamente diventare più gialli e meno verdi. E non è un bel segnale per la salute.

Non è che i fiumi stiano necessariamente diventando tutti gialli o verdi di brutto, ma bisogna tenere presente lo spettro della luce visibile. Se un fiume è cambiato, da verde a giallo, le cause possono essere molte, quasi tutte poco piacevoli: per esempio, una modificazione della combinazione algale e un aumento significativo di sedimenti sospesi. Sono due segnali non banali: sintomi di un possibile inquinamento, il primo; e l’incremento dell’erosione il secondo, con un sostanziale pericolo di progressiva desertificazione di consistenti aree del bacino idrografico.

I potenziali fattori che innescano il cambiamento di colore sono numerosi, dalle modificazioni locali o diffuse del letto fluviale alle trasformazioni dell’intero paesaggio. La crescita del costruito, l’urbanizzazione e lo sviluppo delle infrastrutture, l’aumento del campo di variabilità tra deflussi di piena e magra, l’agricoltura e le sue pratiche: tutti fattori che possono aumentare la quantità dei sedimenti sospesi e rendere un fiume più giallo. Una diminuzione dei nutrienti e della luce può ridurre le alghe, facendo apparire un fiume meno verde.

Quando un fiume appare giallo, la causa più probabile sono i sedimenti sospesi. Quando sembra verde, la probabile causa sono le alghe. E se un fiume è blu, come dicono i cantautori, è probabile che le acque del fiume siano relativamente limpide. Il 56 percento dei fiumi americani è prevalentemente giallo e il 38 prevalentemente verde, ma tra il 1984 e il 2018 i fiumi hanno cambiato spesso colore in modo significativo.

Fin dal più remoto passato, i fiumi tengono parecchio al proprio colore. Per molti grandi fiumi, il colore è una vera e propria firma. Il Nilo, padre di tutti i fiumi, è figlio dei due grandi rami che si uniscono a Khartoum: il Nilo Bianco e il Nilo Blu. In Cina, se i maggiori corsi d’acqua sono il Fiume Azzurro e il Fiume Giallo, qualche ragione ci sarà. E si chiama Fiume Nero il principale affluente del grande corso d’acqua vietnamita che mette a rischio di alluvione una bella fetta di Hanoi, il Fiume Rosso.

Per Francesco Petrarca, la sinestesia delle “chiare fresche et dolci acque” introduce un canto d’amore. Per contro, se “l’acqua era buia assai più che persa” ci stiamo avventurando in un posto poco accogliente, almeno secondo il sommo poeta (Inferno, VII-103). Ai contemporanei, acque fluviali un po’ più chiare e, magari, meno puzzolenti non sarebbero sgradite, soprattutto “là dove il Pil risuona”.

Foto in evidenza: Turisti alla cascata Hukou del Fiume Giallo (Lapresse)

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