Michelle Meagher è un’esperta di normativa sulla concorrenza e corporate governance. E’ membro dell’ University College London Centre for Law, Economics and Society ed è co-fondatrice di Inclusive Competition Forum. Nel 2020 ha pubblicato “Competition is killing us”, libro inserito dal Financial Times tra i migliori testi dell’anno, e in cui l’autrice racconta come le gigantesche multinazionali stiano danneggiato la nostra società e il pianeta. Meagher si concentra soprattutto nello sfatare alcuni miti come il fatto che il libero mercato sia sinonimo di competizione, che le autorità antitrust controllino davvero il potere delle grandi aziende e che questo potere sia “benigno” ed utile per tutta la società. Di formazione liberista, cresciuta con un’ammirazione per Margareth Thatcher, spiega nel libro come di fronte alle evidenze maturate durante la sua carriera, abbia cambiato radicalmente il suo modo di guardare ai mercati e alle dinamiche concorrenziali.
La Commissione UE ha da poco presentato nuove regole antitrust per i colossi del web che prevedono sanzioni più alte e, in ultima istanza, anche la possibilità di scorporare parte di un gruppo. La nuova normativa potrà essere a regime nel giro di un paio d’anni e dopo aver ottenuto l’approvazione da parte del parlamento Ue. Ritiene che si tratti di novità sufficienti o è ancora troppo poco e troppo tardi?

Nei prossimi mesi dovremo capire cosa emergerà dal confronto politico su questo argomento ma, nel complesso, penso che questa sia stata un’occasione persa per una più ampia rielaborazione del diritto della concorrenza. Questo modo di procedere che ha adottato la Commissione sta codificando comportamenti accettabili e pratiche che invece non lo sono, basandosi sull’esperienza degli ultimi anni. Così però non si lasciano margini di flessibilità che sarebbero invece indispensabili per rispondere a nuove minacce. Sono convinta che la risposta delle aziende interessate sarà quella di trovare soluzioni che rispettano la lettera della legge ma che ne minano lo spirito. Quando supereranno il limite la Commissione non potrà fare altro che avviare contenziosi che durano anni, esattamente come accaduto sinora. Quello che invece avrebbe davvero potuto fare la differenza, e dotare il regolatore di uno strumento davvero potente, sarebbe stata la possibilità di intervenire ex ante. Ma questa possibilità è stata notevolmente attenuata rispetto alle ipotesi iniziali. E’ un vero peccato perché, come era stato concepito in origine , il potere di indagine di mercato si sarebbe applicato a tutti i settori e avrebbe consentito alla Commissione di identificare nuovi danni e pratiche nocive, al di fuori dei vincoli contenuti negli articoli. Non c’è stato il cambio di paradigma che auspicavo e che speravo ci sarebbe stato. Penso che il risultato finale sarà che he potremo rispondere a vecchi problemi che hanno magari 10 anni, piuttosto che far fronte a quelli che si presenteranno in futuro.

Più in generale, fuori dal solo universo web, nel suo libro lei ricorda come “la stragrande maggioranza delle fusioni non riesca ad integrare con successo le aziende che si uniscono e quindi non produce efficienza né sui mercati né per le stesse imprese protagoniste”. Perché questo accade?

E’ difficile dare una risposta esaustiva a questa domanda ma penso che il motivo principale risieda nelle motivazioni che ci sono dietro alla conclusione di questi accordi. Spesso queste operazioni non hanno nulla a che fare con gli interessi delle parti che si fondono. In realtà non si tratta di imprese che cercano di diventare aziende migliori e più efficienti. Sono invece operazioni guidate da banchieri, consulenti, dirigenti, ecc.. Si tratta infatti di operazioni che garantiscono laute commissioni a tutti questi soggetti. Sono mosse da incentivi sono perversi e spesso gli azionisti non ne beneficiano, tranne quelli abbastanza astuti da vendere le azioni subito dopo che i mercati le hanno spinte al rialzo sulla scia dell’annuncio dell’accordo.

Ritiene che questo sia valido anche per l’industria automobilistica? L’italiana Fca e la francese Psa si sono appena unite tra di loro. Chi beneficerà di più di questa operazione?

Mi dispiace ma non ho una risposta a questa domanda, mi piacerebbe davvero saperlo però! Purtroppo non conosco i particolari di questa specifica operazione.
Nel libro lei parla anche del ruolo svolto da Mario Monti nel cambiare le politiche antitrust europee. Perché ritiene dannose le modifiche introdotte dal commissario italiano?

L’economia è stato il veicolo con cui il pensiero antitrust del laissez-faire è stato importato nelle politiche concorrenziali europee. L’idea di partenza aveva una sua validità: rendiamo i casi di concorrenza più solidi e difendibili in giudizio sostenendo le nostre intuizioni con modelli e prove economici. Sfortunatamente questo approccio ha finito per rivelarsi controproducente. Ha finito per ostacolare i regolatori poiché i tribunali hanno iniziato a chiedere livelli probatori impossibili da ottenere. Le grandi società possono impiegare risorse quasi infinite per predisporre e presentare contro-prove. Mentre nei casi di cartello c’è spesso un documento che fa da “pistola fumante” e dimostra l’infrazione nelle altre vertenze questo non accade. Se iniziamo a discutere sulla definizione del mercato e di efficienza…bene si tratta di concetti talmente ampi e questionabili che la Commissione avrà sempre difficoltà a sostenere le sue tesi e far prevalere le sue ragioni. Invece di ampliare la nostra comprensione dei mercati, l’introduzione di principi economici ha purtroppo ristretto il nostro raggio di azione. Può darsi che alcuni filoni dell’economia ci aiutino a capire quali dovrebbero essere le questioni centrali in ogni caso di concorrenza – strutture di potere e come il potere viene accumulato, esercitato e abusato, e contro chi e in quali contesti – ma non è così, almeno non per quanto riguarda le dottrine dell’economia neoclassica.

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