È l’opera più imponente progettata in Liguria negli ultimi decenni, tanto da oscurare – in termini di costi – persino il ponte San Giorgio, costruito al posto del Morandi. La nuova diga foranea del porto di Genova è anche la più ambiziosa tra le infrastrutture “inedite” (non già previste né in corso di realizzazione) che il governo italiano vuol finanziare con il Recovery fund: il contributo chiesto a Bruxelles per il primo lotto di lavori – da terminare entro il 2026 – è di 500 milioni di euro, a fronte di una spesa totale stimata in 750-950 milioni, mentre gli oneri complessivi dovrebbero arrivare a 1,1-1,3 miliardi. “Per noi è un investimento strategico, l’opera fondamentale per rendere Genova il porto di riferimento del Paese e uno dei grandi porti europei e mondiali”, ha detto il ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli. Già, perché la nuova barriera – posizionata 200 metri più al largo di quella esistente – serve ad aumentare l’area di manovra per le grandi navi, di lunghezza superiore a 300 metri, che oggi non possono attraccare a Genova per lo spazio ridotto tra la diga e le banchine. Secondo l’analisi costi-benefici pubblicata dai costruttori, grazie alla struttura entro il 2035 lo scalo ligure arriverà a movimentare oltre 2,5 milioni di teu (unità di misura equivalente a un container da venti piedi di lunghezza) ogni anno, contro il milione scarso attuale.

D’altronde, dell’opera si discute da tempo, soprattutto dopo il crollo della Torre piloti nel maggio 2013. A monte dell’incidente causato dal mercantile Jolly Nero – che, manovrando di poppa per uscire dal porto, travolse la torre costruita all’estremità del molo Giano – c’è anchel’esiguo diametro, appena 550 metri, dello specchio d’acqua tra la diga e le due estremità del bacino del Porto Antico (calata Bettolo e, appunto, il molo Giano). Un avamporto che nelle intenzioni dei progettisti – guidati dalla capofila Technital – già nella prima fase di lavori dovrebbe ampliarsi fino a 800 metri di diametro, garantendo al contempo l’accesso delle grandi navi al canale di Sampierdarena, su cui si affacciano i terminal destinati allo scarico delle merci. I progetti sul tavolo sono tre: due prevedono l’entrata delle portacontainer da est, il terzo da ovest. Sia il sindaco Marco Bucci che l’ammiraglio Nicola Carlone, comandante della Capitaneria di porto, hanno espresso il proprio favore per la soluzione più costosa: quella che prevede l’ingresso unico di cargo, navi da crociera e traghetti da un varco di 310 metri aperto a levante, consentendo – si legge sul sito istituzionale dedicato – “la massima flessibilità operativa delle manovre delle navi”.

Dal 9 gennaio, però, sulla diga è partito il dibattito pubblico, al suo esordio in Italia dopo il decreto del 2018 che lo ha reso obbligatorio per le grandi opere sopra una data soglia di valore. E sono comparsi i primi dubbi. Sulla durata stessa del dibattito, compresso in appena 20 giorni (e quattro incontri) a fronte dei 120 permessi dalla legge. E sulle proiezioni di crescita calcolate dai progettisti, basate – ha spiegato il project manager di Technital Antonio Lizzadro – “sulle interazioni con gli operatori che dovranno attuare i piani di impresa promessi in caso di realizzazione”. Cioè sulle promesse dei terminalisti, i primi interessati alla realizzazione dell’opera. E infatti la critica rivolta da più parti al progetto è di voler compiacere soprattutto i player dell’import-export, trascurando l’impatto sociale e ambientale sulla città: in particolare sul quartiere di Sampierdarena, i cui abitanti dovranno abituarsi a una sfilata di navi alte il doppio delle loro case. Inoltre, al netto della quota di trasporto su rotaia, se le previsioni venissero rispettate i camion necessari per caricare le merci saranno il doppio di quelli attuali. “Come pensano di gestire questo traffico? Che ne sarà del nostro quartiere? Quali interventi pensate di realizzare, e in che tempi?”, hanno chiesto durante il dibattito i cittadini del comitato di lungomare Canepa, la strada di scorrimento che costeggia le banchine.

Infine, l’impatto sull’ecosistema marino. Nel dossier dei costruttori la questione è liquidata osservando che i fondali “non sono occupati da habitat di particolare pregio ambientale”. “Non si fa cenno alla movimentazione dei 3 milioni e mezzo di metri cubi di materiale necessario per costruire l’opera, oltre alla demolizione della diga preesistente, che avrà l’effetto di intorbidare le acque nel raggio di chilometri”, dice a Ilfattoquotidiano.it Santo Grammatico, presidente di Legambiente Liguria, convocato – insieme a rappresentanti di Italia Nostra e del Wwf – a un tavolo di confronto privato con progettisti e autorità. “Ho chiesto spiegazioni anche sul mancato invito dei rappresentanti del santuario Pelagos, l’area marina protetta italo-francese per la protezione dei mammiferi marini”, racconta. “Non è raro che i cetacei siano avvistati a poche centinaia di metri dalle banchine del porto, per cui bisogna pensarci bene prima di aprire un cantiere in mezzo al mare. In ogni caso chiediamo di prevedere opere di compensazione adeguate per il territorio e per le acque, oltre a dati certi sull’inquinamento atmosferico provocato dalle grandi navi e alle emissioni da trasporto su gomma. Attendiamo la valutazione d’impatto ambientale”.

“La finalità espressa dall’Autorità portuale – ha sintetizzato su Repubblica Riccardo Degl’Innocenti, esperto genovese di shipping e animatore del comitato per il dibattito pubblico – si riduce a una sorta di “sgocciolamento”, per cui se guadagnano i grandi player del trasporto container qualcosa ci guadagniamo tutti, senza necessità di indagare come e perché. Osserviamo tuttavia che rispetto ai tempi della rivoluzione industriale in cui era in voga tale teoria, oggi lo Stato è democratico e i cittadini ci mettono i soldi, senza i quali anche i traffici e i profitti dei grandi player della portualità crollerebbero. Per esempio, il costo della sola diga, circa 1 miliardo di euro, supera da solo il valore degli investimenti privati dei 13 terminalisti da 25 anni a oggi. Ai progettisti della diga – conclude – è stato consegnato dalla committente la “nave progetto” (equivalente a una portacontenitori da 400 metri) come riferimento per concepire la nuova opera, non il “porto progetto”, dotato di un modello di sviluppo sostenibile a cui tendere”.

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