Scrivo questo blog per comunicare: i commenti completano i post e molti mi scrivono in privato. Dopo il post su Greta Thunberg, Marco Morosini mi manda il suo libro Snaturati, edito da Castelvecchi, dove descrive l’evoluzione del M5S. Morosini ha collaborato con Grillo allo sviluppo dei temi sulla sostenibilità e racconta che le posizioni verdi, social-ecologiste, sono state sostituite da posizioni che parlano alla pancia degli elettori, come il populismo della lotta alla casta e alle competenze: uno vale uno e vaffanculo!

Arrivato al governo, prima con Salvini e poi con Pd e LeU, il M5S affronta temi sociali tipo il reddito di cittadinanza, ma si occupa poco di sostenibilità e ambiente, i temi del primo Grillo. Morosini lo racconta con amarezza, auspicando un ritorno alle origini.

La penso proprio come lui. Grillo, assieme a Morosini, era pre-adattato ad affrontare i temi che ora sono diventati “di moda” con il Nuovo Patto Verde: molte proposte del primo Grillo potrebbero realizzare gli obiettivi di sostenibilità ritenuti finalmente così urgenti. Le case autosufficienti, la politica del meno invece che del più: meno consumo inutile di risorse non rinnovabili, per esempio, assieme alla razionalizzazione dei sistemi di produzione e consumo, in armonia con la natura. Idee in comune con Laudato Si’, con la critica alla cultura dello scarto.

Grillo ha fondato un movimento ambientalista senza dichiararsi necessariamente verde, poi ha cambiato strada e ha imboccato un’altra direzione, allontanandosi dalla natura, e il titolo del libro di Morosini, Snaturati, indica proprio questa metamorfosi.

Non esiste, in Italia, una cultura della natura basata su solida conoscenza, ed è necessario tornare sulla differenza tra ecologisti ed ecologi. Gli ecologisti hanno a cuore i problemi dell’ambiente, e sono pronti a lottare per risolverli. Gli ecologi studiano l’ambiente e hanno la conoscenza per valutare l’effettiva sostenibilità di ogni iniziativa, ma non hanno peso politico, sono pochi. Gli ecologisti dovrebbero essere il “peso” che dà forza agli ecologi, senza sostituirsi ad essi, perché non basta avere contezza di un problema, bisogna anche avere la conoscenza per affrontarlo.

Dato che la natura è assente dalle nostre visioni del mondo, pur essendo un pre-requisito insostituibile per garantire la nostra sopravvivenza, è chiaro che esiste un vuoto nel panorama politico del nostro paese: un partito, o un movimento, che imponga le questioni ambientali come priorità inalienabili, perché se l’ambiente è degradato degradano anche la salute e l’economia. Non si può programmare un futuro sostenibile se non si pensa alla salute dell’ambiente.

In Europa questo si è capito, e il New Green Deal chiede la conversione ecologica, proprio come la chiedono papa Francesco e Greta Thunberg, e mette moltissime risorse a disposizione per realizzarla. Però, in Italia, manca un partito che abbia la cultura per capire la sfida, e se la sfida non si capisce sarà ben difficile affrontarla opportunamente e vincerla.

Ho partecipato alla scrittura del Piano Nazionale della Ricerca, per l’ambito marino. Ci avevano assegnato il tema: Gestione delle Risorse Marine. I miei colleghi e io lo abbiamo cambiato con: Conoscenza, innovazione tecnologica e gestione sostenibile degli ecosistemi marini. La natura non è un mero fornitore di risorse, e bisogna conoscere molto bene il capitale naturale per sviluppare tecnologie che portino a una gestione sostenibile delle nostre interazioni con biodiversità ed ecosistemi. Nel resto del Piano Nazionale della Ricerca, però, la natura non c’è.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ricalca la stessa impostazione: prevalgono le visioni degli economisti “di prima”, quelli che vogliono la crescita del capitale economico e non si curano del capitale naturale. Quelli che pensano che la salute umana si coltivi con la medicina e la farmacologia e che l’ambiente non abbia alcun ruolo nei confronti della salute. Quelli che pensano che le tecnologie possano essere sviluppate senza solide conoscenze dei sistemi ambientali in cui saranno inserite.

I partiti sono espressione del sentire della popolazione. Ma non basta il “sentire” ecologista, ci vuole qualcuno che lo traduca in decisioni politiche. Temo che i miliardi del Recovery fund saranno spesi secondo il business as usual. Traduco: ci daranno un sacco di soldi per mettere in armonia con la natura i nostri sistemi di produzione e consumo e noi li intascheremo e continueremo come sempre, come se niente fosse.

Aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno non significa buttare il tonno contro le pareti del Parlamento, significa prendere decisioni molto diverse da quelle di chi era prima in Parlamento. Prima del M5S è stata la Lega a dichiarare di voler stravolgere la politica. Abbiamo visto. Ora tocca al M5S, ma per fare cosa?

Tanto per restare in tema di tonno, e tornare a temi un tempo cari a Grillo, il tonno che ci propongono nelle pubblicità non è il tonno rosso del Mediterraneo. E’ il tonno pinne gialle dell’Indo-Pacifico e dell’Atlantico. Il tonno rosso va in Giappone. Quando si apre la scatoletta, è bene accertarsi del contenuto.

Articolo Precedente

Disastri naturali, 2020 da record: si dovrebbe spendere per prevenire. Altro che Ponte sullo Stretto

next
Articolo Successivo

Dalle ciclabili alla raccolta differenziata: a Milano i cittadini scelgono cosa fare per raggiungere la neutralità carbonica

next