Nel nostro Paese il dibattito sulla legalizzazione della cannabis si protrae ormai da decenni. Era la fine degli anni ’90 quando presentai come tesi di laurea proprio tale argomento all’epoca particolarmente controverso a causa di un rigurgito proibizionista molto diffuso. In questi anni, nel nostro Paese, disinformazione e proibizionismo non hanno permesso un approccio laico a differenza di ciò che è accaduto altrove.

Poche settimane fa, negli Stati Uniti, con un referendum è stato legalizzato il consumo di cannabis nel New Jersey, Montana, Arizona, Mississippi e South Dakota. Diventano così 36 gli stati in cui la cannabis è legale. In Europa Spagna, Olanda, Repubblica Ceca, Germania e Francia consentono l’uso di cannabis, principalmente per fini medici. Nel mondo ci sono altri Paesi dove si è percorsa la strada della legalizzazione: Canada, Uruguay e Corea del Nord sono le esperienze più conosciute.

Credo che sia davvero giunto il tempo di analizzare gli aspetti positivi della legalizzazione e liberarsi da quel becero fondamentalismo che avvantaggia la criminalità organizzata e danneggia un settore industriale che potrebbe diventare un volano per la nostra economia, già in grave difficoltà per via della pandemia.

Eppure, un tempo, in Italia con la canapa si produceva di tutto, dagli utensili fino all’edilizia, poi con il proibizionismo, questa pianta e le sue varietà italiane sono scomparse distruggendo un intero circuito economico. Successivamente, con la parziale legalizzazione della canapa industriale si è avuta una lenta ripresa del settore. Oggi sono ben 3000 le aziende che si occupano di coltivazione e trasformazione della canapa per uso industriale, ma, a causa dell’opacità normativa, queste aziende operano nell’incertezza e molti imprenditori vengono denunciati per il loro lavoro. Una situazione inaccettabile.

Giorni fa, in Toscana, ho visitato alcune aziende che hanno subito continue ispezioni e persino sequestri immotivati che destabilizzano e soffocano la loro produzione. Al contrario, lo Stato dovrebbe agevolare lo sviluppo di una filiera della canapa e sostenere la crescita delle nostre aziende e potenziare l’economia green che ne consegue. La cannabis, oltre alla virtuosa filiera industriale, è una pianta che ha un’immensa capacità di catturare CO2 e bonificare terreni inquinati ed è un prodotto particolarmente efficace in ambito sanitario.

E’ recente la notizia che l’Onu ha cancellato la cannabis dall’elenco delle sostanze stupefacenti per le sue proprietà curative. In Italia, la cannabis viene usata come medicinale in molte patologie, ma è illegale coltivarla. Così, la quota necessaria ai nostri malati viene in buona parte importata dall’estero con costi esorbitanti a carico dello Stato, inoltre i malati non riescono a curarsi costantemente a causa della carenza e della lentezza delle importazioni. Questa contraddizione va superata e il nostro Paese deve attivarsi a livello europeo per stabilire una legislazione comune che fissi regole comuni.

Legalizzare la cannabis significa liberare anche gli almeno sei milioni di italiani che la usano per scopo ludico. Persone costrette a vivere nell’illegalità e ad alimentare la criminalità organizzata. Legalizzandola sarebbero circa 10 miliardi di euro all’anno che lo Stato sottrarrebbe al circuito malavitoso e che potrebbe investire in sanità, istruzione, infrastrutture. L’ipocrita e falsa tesi che con la legalizzazione si aumenterebbe il numero di consumatori e che le cosiddette “droghe leggere” diventino un assist per l’utilizzo di quelle pesanti sono state smontate e smentite da innumerevoli studi. Anzi, è vero il contrario, attraverso un circuito legale si reciderebbe proprio il legame con ambienti malsani legati alle mafie.

Legalizzando il consumo crollerebbe anche la retorica di destra che si scaglia contro il piccolo spacciatore, magari extracomunitario, ma che tace sugli immensi profitti di potenti mafie nostrane. Nel nostro Paese, secondo i dati della Società italiana di tossicologia (Sitox) ogni anno muoiono di malattie correlate all’alcol circa 40 mila persone, mentre 8,6 milioni sono quelle a rischio, tra cui molti giovani. Su questo versante, i proibizionisti nostrani tacciono, o come nel caso di Salvini con il mojito del Papeete si prestano a veri e propri spot.

Questa ipocrisia costa al nostro Paese il mancato introito di diversi miliardi di euro di tasse all’anno che invece vanno alle mafie, costringe i malati a non avere continuità terapeutica e crea incertezza nella filiera della canapa industriale.

Credo sia giunto il tempo di discutere seriamente di legalizzazione. In Senato, oramai tempo fa, è stato depositato il Ddl di Matteo Mantero e Francesco Mollame ha presentato un importante emendamento sul tema. Durante gli stati generali convocati dal presidente Conte nel giugno scorso, venne presentato un appello firmato da 100 parlamentari, tra cui il sottoscritto, per invitare il governo a inserire la legalizzazione della canapa tra le misure di ausilio alla ripresa economica.

Il Parlamento europeo, grazie anche all’importante lavoro del nostro vicepresidente Fabio Massimo Castaldo e Dino Giarrusso, ha sollecitato gli stati membri a rafforzare la ricerca sulla cannabis medica e varare norme che superino la vigente opacità. Per rilanciare il tema, ho presentato una mozione firmata da 50 senatori, non solo del M5s, per chiedere al governo di intraprendere, finalmente, la direzione della legalizzazione della canapa verso un modello italiano che sappia garantire certezza agli investimenti delle imprese, continuità terapeutica ai malati, introiti allo Stato e garanzie per i consumatori.

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