L’Algeria è senza presidente. Il 28 ottobre il portavoce di Adbelmadjid Tebboune, eletto a dicembre 2019 durante uno scrutinio fortemente contestato dal movimento di protesta popolare, ha fatto sapere che il capo dello Stato è risultato positivo al Covid-19. “Il suo stato di salute è ottimo e non ci inquieta”, ha dichiarato la presidenza. Tebboune, 74 anni, dopo una settimana di isolamento è stato portato prima all’ospedale di Algeri, poi trasferito d’urgenza in Germania da dove “il presidente della Repubblica porta avanti le sue attività quotidiane”. È dal 15 ottobre che Tebboune non appare in pubblico. Da allora circolano regolarmente voci sul suo “imminente ritorno in patria”, fino ad ora mai avvenuto. La presidenza non lascia trapelare ulteriori informazioni sulle sue condizioni di salute, e comunicati laconici vengono diffusi non appena viene fatta notare la sua assenza prolungata. Un comunicato ufficiale del 30 novembre ne annuncia “la guarigione”, senza fornire ulteriori dettagli.

In Algeria, la salute del capo dello stato è più che mai oggetto di dibattito pubblico. Abdelaziz Bouteflika, storico presidente che ha occupato la residenza di El-Mouradia per vent’anni, è stato costretto a ritirarsi ad aprile 2019 a causa dell’ondata di manifestazioni che lo ha travolto. A seguito di un infarto nel 2013, dopo esser stato ospedalizzato varie volte in Francia e Svizzera, l’ex presidente non ha più parlato in pubblico e si è mostrato sempre meno fino a quando, a febbraio 2019, è riapparso di fronte alle telecamere per consegnare personalmente la sua richiesta di candidatura per un quinto mandato alla presidenza. Le immagini del presidente, ripreso dalle emittenti locali, hanno rapidamente fatto il giro del web: incapace di parlare e di muoversi autonomamente, Bouteflika si è presentato in sedia a rotelle. “Non ho la stessa forza fisica di prima – ha fatto sapere nella sua lettera di candidatura – ma la voglia di servire la nazione non mi ha ancora abbandonato”. Pochi giorni dopo un movimento di protesta spontaneo, poi battezzato Hirak, invadeva le strade prima della capitale Algeri, poi dell’intero paese, chiedendo ed ottenendo le dimissioni di un capo di stato al potere dal 1999.

Un anno e mezzo più tardi, il silenzio che circonda lo stato di salute del neoeletto Abdelmadjid Tebboune inquieta esponenti politici e popolazione, tanto più che l’emergenza sanitaria si è rapidamente trasformata in crisi economica e sociale nel paese del Maghreb. “Siamo condannati ad essere guidati da anziani presidenti malati?”, ha dichiarato alla stampa Mohcine Belabbas, presidente del partito di opposizione Rcd, ricordando quando Bouteflika è stato ricoverato per la prima volta nel 2005 rimanendo diversi mesi all’estero. La presenza del capo di Stato – specialmente in un paese in cui parlamento e governo continuano ad avere un ruolo decisionale limitato di fronte al pugno di ferro dei militari e del loro presidente – è ritenuta fondamentale in un momento di crisi nazionale. I casi di Covid-19 sono in continuo aumento, ma gli ospedali non sono sufficientemente equipaggiati per far fronte all’emergenza. Eppure, a giugno, il capo di stato ha fatto sapere che “l’Algeria possiede il migliore sistema sanitario africano”. Quattro mesi più tardi è stato trasportato in una clinica europea su un jet privato, mentre nel paese molti cittadini non riescono ad accedere alle cure necessarie.

Cresce poi il tasso di disoccupazione, specialmente giovanile. La crisi finanziaria strangola la quarta potenza economica africana che continua a dipendere dalla rendita petrolifera, e per questo una delegazione del Fondo monetario internazionale (FMI) si è recata in visita ad Algeri la settimana scorsa in assenza del presidente. Per non parlare del braccio di ferro tra il potere centrale e movimento di protesta: le manifestazioni dell’Hirak sono state interrotte a causa della pandemia, e le autorità ne hanno approfittato per reprimere ed arrestare leader del movimento, oppositori politici e giornalisti. Il 26 novembre il parlamento europeo si è espresso sulla costante violazione dei diritti umani in Algeria, chiedendo la liberazione dei militanti. Khaled Drareni, corrispondente per un canale televisivo francese in Algeria condannato a due anni di carcere per “attentato all’integrità dello stato”, è ormai il simbolo dell’imbavagliamento delle voci indipendenti nel paese. Inoltre, da ormai qualche settimana si combatte lungo il confine, in Sahara Occidentale: Algeri, storico alleato del fronte Polisario ostile al Marocco, ospita sul suo territorio più di 170mila profughi sahrawi.

In questo clima di tensione, il 1° novembre gli algerini sono stati chiamati alle urne per un referendum sulla nuova costituzione, fortemente voluta dal presidente Tebboune, imposta dall’alto senza essere elaborata e discussa da un’assemblea costituente come richiedeva invece il movimento di protesta. Il “sì” ha vinto, ma con una partecipazione ai minimi storici (23%) anche a causa dell’appello dei militanti a disertare le urne. Il giorno del voto simbolico il presidente non è apparso per rilasciare dichiarazioni ufficiali, perché probabilmente già ospedalizzato. Mentre i primi segni di insofferenza si fanno sentire in Algeria e il movimento dell’Hirak promette di tornare in piazza, da Parigi arrivano dichiarazioni a sostegno del presidente assente: “Farò tutto il possibile per aiutare Abdelmadjid Tebboune in questo momento di transizione. È coraggioso”, ha fatto sapere Emmanuel Macron in un’intervista al settimanale francese Jeune Afrique. Ma le proteste dei cittadini, in lockdown parziale, si moltiplicano sui social, divisi tra chi chiede “più Stato” e chi si dice “abituato a vivere senza Stato”. Intanto i giornali satirici ne approfittano per ironizzare sul “viaggio all’estero” del presidente. Una “no man’s land” che rischia di far cadere il paese nel caos.

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