Nei mesi passati ho seguito in diretta durante la mia permanenza in Brasile il percorso del vaccino di Oxford prodotto dalla casa farmaceutica inglese AstraZeneca, che aveva scelto il paese sudamericano come prima nazione extraeuropea per la sperimentazione del suo vaccino, per via del contagio esteso in maniera capillare negli stati della Federazione e per l’alto numero di decessi, inferiori solo alle letalità registrate negli Usa.

Il mese successivo, la filiale di AZ in Brasile passò direttamente alla fase 3 – quella che precede la vaccinazione di massa – applicata su due gruppi: al primo venne inoculato il vaccino, mentre al secondo fu somministrato invece un comparatore attivo. Come già scritto: “La differenza tra questo e il placebo, cioè un trattamento inattivo, è che il comparatore è un trattamento di efficacia dimostrata sulla malattia in esame”. I volontari, età compresa tra i 18 e i 55 anni, furono selezionati dopo essere risultati negativi al tampone.

Negli stessi giorni, la direttrice del Departamento de Ciência e Tecnologia, Camile Sachetti, se ne uscì con una dichiarazione incauta: il governo avrebbe prodotto, tra dicembre e gennaio 2021, 30.400.000 dosi di vaccino “con rischio” prima che il periodo di trial fosse portato a termine, cioè nel giugno 2021. Una chiara azione di propaganda per ridare lustro al blasone appannato del governo, privo di un ministro della Salute competente, contando sul fatto che i brasiliani si sono sempre assoggettati mansuetamente alle vaccinazioni, come dimostra il proliferare degli anti-gripe (influenza) nelle farmacie.

AZ vendette il principio attivo del suo preparato al laboratorio governativo Fio Cruz, che fu incaricato della produzione locale. Non contenta di ciò, la Sachetti aggiunse che avrebbe consentito la sperimentazione di altre multinazionali farmaceutiche sul territorio, per avere più opzioni possibili a disposizione.

Da allora, si è scatenata la corsa all’oro brasiliano, che ha visto scendere in campo la Pfizer di Brooklyn, la Sinovac cinese, la statunitense Moderna, il vaccino russo dalle reminiscenze spaziali Sputnik – fiore all’occhiello di Putin – la tedesca BioNtech e dulcis in fundo, ancora un cinese, il CoronaVac, affidato all’azienda locale Butantan, nei guai fino a pochi giorni fa per la morte di un volontario-cavia, riammessa poi alla sperimentazione per l’intervento di Anvisa, la Vigilanza Sanitaria brasiliana.

“L’errore” di AZ

Mentre AZ è sempre sotto lente durante il suo percorso, poco trasparente è stato invece quello delle sue concorrenti, nessuna delle quali ha fornito dati dettagliati ai media riguardo al rispetto delle tre fasi di sperimentazione che dovrebbero essere obbligatorie.

Nello stato di São Paulo, il governatore Doria (probabile candidato alle elezioni 2022) è accusato dal presidente Bolsonaro di aver fatto pressioni sul vaccino cinese fin dall’inizio, ritenendolo responsabile (senza peraltro esibire prove) della morte del volontario.

Lo stesso Bolsonaro se n’è uscito – come di consueto con i toni sbagliati – dichiarando ai media che non avrebbe reso obbligatorio nessun vaccino, finché non sarà scartata qualsiasi ipotesi di effetti collaterali gravi, rifiutandolo per primo. Pur essendo guarito dal virus, infatti, non è provato che contrarre la malattia produca immunità a lungo termine.

La pandemia intanto continua a falcidiare il Brasile, che ha superato i 5,5 milioni di casi registrando oltre 172.000 decessi. Ciononostante, è imperativa una regolamentazione di questo Far West terapeutico, che Anvisa da sola non è in grado di fronteggiare.

Tale anarchia si estende però a livello planetario, dove appare evidente che la speculazione finanziaria della compravendita in Borsa relativa alle azioni delle farmaceutiche supera di gran lunga la corretta informazione scientifica, affidata a testate non qualificate o a riviste che hanno già commesso errori grossolani, come successo a Lancet con l’idrossiclorochina. E l’episodio ingigantito del presunto errore di AstraZeneca lo dimostra: durante il trial congiunto in Gran Bretagna e Brasile, su 12.000 partecipanti coinvolti, 3000 di questi ricevettero in seconda battuta solo una dose del vaccino, invece delle due prescritte.

La notizia rimbalzò poi a Wall Street, con la perdita del 5% dello stock in Borsa, mentre ai primi del mese, in una corsa al fotofinish, Pfizer e Moderna avevano fatto il boom, con rialzi delle azioni al +15%, correlati ai dati trasmessi sul successo dei trial: prima 90% di Pfizer, superata dal 94,5% di Moderna, con il sorpasso successivo di Pfizer al 95%. Una Febbre da Cavallo che avrebbe surclassato anche il film di Gigi Proietti.

In questa guerra fatta di frazioni di percentuali, AZ era rimasta al palo ancorata a un “misero” 70%. In più è stata accusata dagli Stati Uniti di scarsa trasparenza nella trasmissione dati per non interagire con i media classici, ma solo con il Wall Street Journal e le riviste specializzate. Da quale pulpito viene la predica! La prova più evidente dell’ipocrisia a stelle e strisce è la mossa astuta di Bourla (nomen omen), Ceo di Pfizer, che il giorno stesso dell’annuncio del 95% di successo nel trial ha venduto 5,6 milioni di azioni dell’azienda in suo possesso con un profitto mostruoso, alla faccia tra l’altro dei piccoli azionisti che hanno subito il ribasso immediato dello stock dopo una vendita di tale portata.

Conclusioni

I punti cruciali della tragicommedia pandemica sono stati appena sfiorati durante la trasmissione Porta a Porta dove era invitato il presidente di AstraZeneca Italia, Lorenzo Wittum.

La produzione mondiale delle dosi dei vaccini è stimata intorno ai 6 miliardi, cifra ancora lontana da raggiungere, se si considera che AZ e Pfizer ne hanno in produzione circa un miliardo a testa, di cui 100 milioni per il Brasile, e Moderna solo alcune centinaia di milioni. Se occorrono due dosi per abitante, in breve si potrebbe immunizzare un quarto dei brasiliani e uno su 7 a livello globale.

L’incognita cruciale: finora i trial sono stati eseguiti solo su una fascia d’età dai 18 ai 55, escludendo a priori gli anziani, i portatori di patologie quali diabete e gli immunodepressi, cioè proprio le categorie più a rischio di letalità da Covid: lo ha ammesso Wittum, anche se AZ di recente ha svolto con successo in Brasile un test su pazienti anziani, riscontrando un rafforzamento del loro sistema immunitario, ma è ancora presto per cantar vittoria.

L’inchiesta di Report ha confermato poi che i governi europei stanno trattando a porte chiuse con i negoziatori delle case farmaceutiche, i quali chiedono una liberatoria che escluda risarcimenti in caso di danni collaterali. Wittum non lo ha negato, trincerandosi però dietro il fatto che i cittadini saranno coperti da un’assicurazione statale. Non è dato sapere se finanziata anche dalle multinazionali.

Irbm, la consociata AZ per la produzione del vaccino a Pomezia riceve dal Cnr 6 milioni annui di contributo per la ricerca. In Italia gli istituti privati ricevono dal governo 58 milioni ogni anno a tal scopo, mentre quella statale langue per penuria cronica di fondi. Fio Cruz a Brasilia è alle dirette dipendenze del ministero della Salute e percepisce i finanziamenti maggiori. In Italia invece alla ricerca pubblica vanno le briciole, i privati fanno la parte del leone. Per cui le nostre farmacie sono tra le più care al mondo.

Testo © F.Bacchetta

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