Sul fronte della pandemia, i politici giocano con i numeri, a costo di barare. O per lo meno, di dire verità parziali. A sostenerlo è il dottor Alessandro Vergallo, presidente nazionale di Aaroi-Emac, l’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani, intervistato su Radio Cusano Campus. Ha dichiarato che se la Sicilia è finita sotto tiro per i tentativi di far figurare disponibilità non reali di terapie intensive, anche altre Regioni non attribuiscono un corretto peso al “vocabolario medico”. E ha fatto il caso del Veneto. “In qualche caso tra i posti di rianimazione nuovi vengono considerati anche i lettini di sala operatoria. Dei mille posti del Veneto, ci risulta che 111 siano letti di sala operatoria. Non è la stessa cosa”. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto alla Regione Veneto una replica, invano.

A ilfattoquotidiano.it Vergallo ha spiegato: “Stiamo assistendo alla corsa ad implementare i posti letto di terapia intensiva. E’ giustissimo, anche perché si tratta dell’ultima frontiera, che interessa circa lo 0,5 per cento della popolazione colpita dal Covid, che necessita di cure intensive. Però rischiamo di creare fraintendimenti nell’identificazione dei veri posti letto di terapia intensiva, che hanno caratteristiche strutturali e strumentai ben precise, in parte diverse da quelli delle sale operatorie”. A cosa si riferisce? “Ad esempio agli spazi di movimento dell’équipe medica o per alloggiare gli strumenti. Ma anche alle condizioni delle stanze, che con l’emergenza vengono magari ricavate in vecchi ospedali. E’ chiaro che in emergenza tutti i rimedi possono essere buoni. Ma il politico non deve confondersi con i numeri che gli vengono forniti delle aziende sanitarie e dagli assessorati”. E’ il caso del Veneto? “Ho citato il Veneto perché ho a disposizione i dati. E senza voler prendere le difese di nessuno, né tantomeno della Sicilia, ho ricordato che anche in Veneto vengono conteggiati i numeri delle sale operatorie”. Il che può aver riflessi sulla valutazione da parte del ministero della Sanità per definire una regione gialla, arancione o rossa. “E’ una conseguenza. Ma non mi riferivo a questo: come anestesisti italiani volevamo ricordare che ci sono le terapie intensive vere e proprie, quelle delle sale operatorie, le recovery rooms o sale simili di altri reparti dove vengono installati ventilatori e respiratori”. Ha poi aggiunto: “Stiamo assistendo ad una politicizzazione del vocabolario. La Regione Sicilia non è l’unica regione che avrebbe tentato di gonfiare i numeri. Non c’è solo il Veneto, ce ne sono anche altre”.

A fine ottobre il governatore Luca Zaia aveva dichiarato: “Già oggi il sistema sanitario Veneto è pronto ad attivare 1016 posti letto di terapia intensiva. Abbiamo a disposizione tutti i macchinari necessari, a cominciare dai respiratori automatici”. Aveva dato un quadro rassicurante, per dimostrare che il Veneto è lontano dalla saturazione delle terapie intensive. Eppure il numero totale influisce anche sulla valutazione dell’efficienza della macchina sanitaria da parte del ministero della Sanità, ai fini di classificazione del rischio. Attualmente i posti di terapia intensiva occupati in Veneto sono 306.

Vergallo, tornando alle cifre nazionali, sottolinea che “prima del Covid i posti di terapia intensiva erano circa cinquemila. C’era già allora un forte sbilanciamento a sfavore del Sud. Con la pandemia sono aumentati soprattutto nelle regioni più colpite, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Ad oggi i posti sono 8mila, ma considerando che 3800 sono occupati da malati Covid, la disponibilità per altre emergenze si è già ridotta di 800 unità”.

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