“Fa come vuoi… guarda tanto lo so dove stai, a me non me interessa poi quello che succede”. A parlare, intercettata, è Ivana Casamonica, 50 anni, madre di Alfredo e Vincenzo Di Silvio, 34 e 30 anni, condannati per la violenta aggressione dell’aprile 2018 ai danni dei titolari del Roxy Bar nel quartiere La Romanina di Roma. La donna è stata arrestata in mattinata durante un’operazione del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, della Squadra Mobile di Roma e del commissariato Romanina, coadiuvato dal Reparto prevenzione crimine e dalle volanti dell’Upgsp. In carcere sono finiti anche il marito Anacleto Di Silvio (53 anni) e altri membri della sua famiglia, cioè Enrico Di Silvio (73 anni), Alevino Di Silvio (65 anni), Silvio Di Vitale (58 anni) e Alfredo Di Silvio (50 anni), tutti appartenenti al noto clan sinti di Roma. A vario titolo per loro accuse che vanno dall’estorsione aggravata dal metodo mafioso allo spaccio di stupefacenti.

Dalle carte dell’inchiesta si possono ricostruire le modalità dell’estorsione continuata. Ivana, infatti, dice che ha bisogno di soldi. Una delle vittime è Marco C., un giovane rappresentante di cialde di caffè cui la donna vendeva piccole dosi di cocaina. Il ragazzo ha accumulato un debito di circa 200 euro, poi lievitato a 400 euro, e dopo l’arresto dei due figli e del suocero, le richieste si fanno sempre più pressanti. “Quando mi presentavo in casa – racconta Marco nella sua deposizione – la donna mi pregava di aiutarla economicamente, lasciandole o portandole dalle 100 alle 200 euro, in quanto le servivano per pagare gli avvocati che difendono i suoi due figli detenuti. Nonostante riuscivo a non prendere le dosi di cocaina che la stessa puntualmente mi offriva, lei insisteva di aiutarla consegnandole i soldi come indicato”. Marco aveva paura, non riusciva a opporsi alle richieste: “Avevo intuito che se non pagavo, Ivana o i suoi famigliari potevano venire sotto casa mia con la conseguenza che mia moglie venisse a conoscenza delle mie debolezze”. Così con frequenza mensile “gli recapitavo a domicilio 150 euro non avendo la possibilità economica di consegnare oltre”.

Il 5 settembre 2018, Marco C. riceve nella segreteria telefonica un messaggio minatorio. Secondo gli inquirenti, la voce è quella di Alfredo Di Silvio, cognato della donna. “Eh! Che cazzo ti sei messi in testa aooo’… ma che ti dobbiamo veni’ a casa…?? Te dobbiamo veni’ a bussa’ a casa tua…?? Aoo! Se domani mattina non vieni qua… te veniamo a casa… mo hai rotto il cazzo e’!!! Ciao ciao…”. Il messaggio mette in grande preoccupazione il giovane, che nel frattempo decide di collaborare con le forze dell’ordine. E per raccogliere conversazioni utili agli inquirenti, inizia a telefonare a Ivana Casamonica, che però inizia a rendersi conto di qualcosa: “Perché stai a parlà così co’ sto cazzo de telefono? Me dici perché parli co sto cazzo di telefono? Me stai a ffa incazza – gli urla la donna – mo e… perché me voi fa qualcosa?? Me voi mette in mezzo agli impicci? Dimmelo subito”. Per poi rassicurarlo: “Lo sai che te volemo bene, lo sai”.

Il gip di Roma, Clementina Forleo, nel motivare le esigenze cautelari, inserisce nell’ordinanza il passaggio di una testimonianza di un agente di polizia del Commissariato Romanina, depositata l’11 dicembre 2018. “Purtroppo si respira una grossa aria di paura e terrore. I cittadini del quartiere sono terrorizzati dalle famiglie Casamonica e Di Silvio, Di Gugliemo e Spada – racconta l’agente – perché hanno comportamenti spesso aggressivi” contro “i cittadini che si comportano bene”. Poi racconta: “Mohamed ha questa frutteria e solo perché si è ribellato è stato pestato a sangue con 30 giorni di referto”. Non solo. “Io personalmente sono costretto a dare i cellulari, perché la gente altrimenti è terrorizzata, non fa denunce, siamo costretti a convincerli a collaborare con noi perché altrimenti è impossibile poi tenere un’attività investigativa”. Insomma, “il clima di terrore è ben visibile, si percepisce in maniera inconfutabile”.

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