L’ex procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla è stato rinviato a giudizio per falso e corruzione in atti d’ufficio. Al termine delle udienze preliminari, lo ha deciso il gup di Salerno che ha mandato a processo anche gli altri quattro imputati: il poliziotto Vito Tignanelli e la moglie Marisa Aquino, entrambi titolari della società “Stm”, il maresciallo Carmine Greco e il carabiniere Alessandro Nota. Il procedimento penale (già costato il trasferimento di Facciolla al Tribunale civile di Potenza disposto dal Csm) è nato da un’inchiesta della Procura di Salerno, competente per i reati commessi dai magistrati del distretto di Catanzaro. Tutto ruota attorno alle false annotazioni di servizio per coprire un carabiniere finito nei guai per i suoi rapporti con soggetti legati alle cosche, e all’appalto per il noleggio delle apparecchiature che servivano all’ufficio di Facciolla per intercettare i cellulari degli indagati e le conversazioni ambientali.

In cambio di un’utenza telefonica e dell’impianto di videosorveglianza per la sua abitazione privata, stando ai pm di Salerno, l’ex procuratore di Castrovillari avrebbe assegnato l’appalto alla Stm, la società coinvolta nell’inchiesta delle Procure di Napoli e Roma sull’affaire del software “Exodus” e sulle intercettazioni abusive conservate in un server di Amazon in Oregon. Le due vicende sono slegate, ma i personaggi sono gli stessi: la titolare della Stm Marisa Aquino e soprattutto suo marito, il poliziotto Vito Tignanelli. Tra quest’ultimo e il magistrato Facciolla, secondo la Procura di Salerno, ci sarebbero “relazioni personali risalenti a circa venti anni addietro”. I due amici imputati, però, avrebbero avuto un “medesimo disegno criminoso”: “Per l’esercizio delle sue funzioni”, Facciolla avrebbe “affidato il noleggio di apparecchiature nell’ambito di attività di intercettazione alla Stm srl unipersonale”.

In una nota della guardia di finanza c’è scritto che dalla sola Procura di Castrovillari la Stm ha incassato “in totale la somma di 761.837,99 euro”. Il capo di imputazione, relativo al reato di corruzione, fa riferimento a otto procedimenti penali per i quali la Procura di Castrovillari si è rivolta alla Stm per le intercettazioni. L’accusa non ha dubbi sul fatto che Vito Tignanelli e sua moglie hanno agito “quali corruttori” dell’ex procuratore Facciolla. “Per l’esercizio dei suoi poteri”, inoltre, il magistrato avrebbe procurato un “ingiusto vantaggio patrimoniale alla Stm”. Lo avrebbe fatto quando, in diverse occasioni, un mezzo della società di Tignanelli riceveva una multa per aver violato il codice della strada. Il poliziotto, infatti, sarebbe riuscito a farsi revocare la multa grazie a giustificazioni firmate dal dottore Facciolla che avrebbe attestato “l’improcrastinabilità dello svolgimento di attività di indagini”. Per i pm di Salerno non era vero così come non lo era la “falsa e retrodatata” relazione con cui è stato salvato il maresciallo Carminuzzo Greco, già sotto processo a Crotone per concorso esterno con la ‘ndrangheta.

È proprio da quest’ultimo, comandante della stazione di Cava di Melis nel Comune di Longobucco, che è partita l’inchiesta su Facciolla. Arrestato a inizio luglio del 2018, infatti, alcuni mesi prima il maresciallo Greco era stato intercettato nell’ambito di un’operazione antimafia condotta dalla Dda di Catanzaro. Da quelle telefonate era emerso che il militare (nel 2012 addirittura nominato consigliere per le tematiche inerenti i parchi nazionali dall’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini) aveva manipolato un’indagine che stava conducendo per conto della Procura di Castrovillari su una dirigente della Regione Calabria. In sostanza il maresciallo si è fatto aiutare da un imprenditore boschivo, Antonio Spadafora, utilizzato come “agente provocatore”.

Quando questo, però, rimase coinvolto nell’inchiesta “Stige”, perché ritenuto espressione delle cosche di Cirò, i rapporti tra l’imprenditore e il sottoufficiale sono venuti a galla e la Procura di Catanzaro non ha potuto fare altro che trasmettere gli atti ai colleghi di Salerno. Le numerose intercettazioni telefoniche e ambientali e l’attività di indagine hanno fatto il resto. Secondo i pm, infatti, prima che fosse arrestato, il maresciallo e l’allora procuratore di Castrovillari avrebbero cercato di correre ai ripari: “Concordavano – è scritto nel capo di imputazione – la redazione di una annotazione nella quale fossero descritte le attività informative che il militare dell’Arma aveva acquisito mesi prima nel corso delle interlocuzioni con Spadafora”. “Documento – scrivono sempre gli inquirenti – risultato materialmente falso”. Per tutti, adesso, il processo inizierà il prossimo 19 gennaio.

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