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“Voglio dimenticarmi per sempre di questo paese. La Colombia non è più sicura per me. Non voglio mai più mettere piede né in Colombia né all’Onu. Non fa per me. Ho chiesto il trasferimento diverso tempo fa e non me l’hanno dato. Voglio una vita nuova, lontano da tutto”.

Pochi giorni prima del ritrovamento del suo corpo nella casa nel dipartimento colombiano di Caquetá, a San Vicente del Caguán, Mario Paciolla affidava a questo messaggio, inviato a un parente lo scorso 11 luglio, il suo stato d’animo.

Era arrivato in Colombia nel 2016. Dopo due anni da volontario per l’Ong Peace Brigades International, dall’agosto del 2018 lavorava alla delicata missione delle Nazioni Unite che supervisiona l’applicazione dell’accordo di pace siglato nel 2016 tra le Farc, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, e il governo colombiano. Processo che sembra compromesso dalle politiche del governo colombiano, che sta permettendo la persecuzione degli ex combattenti delle Farc che hanno deposto le armi a opera di gruppi paramilitari di estrema destra e di narcotrafficanti.

Dopo due anni di intensa collaborazione con le Nazioni Unite, Mario aveva deciso di lasciare la Colombia perché non si sentiva più al sicuro. Non lo era. Aveva confessato alla madre di essere spaventato, di sentirsi in pericolo tanto da acquistare un biglietto aereo che il 20 luglio, un mese in anticipo rispetto alla fine del contratto, lo avrebbe riportato in Italia.

Un volo, quello verso casa, che non ha mai preso perché il suo corpo senza vita viene ritrovato nella sua abitazione il 15 luglio. Ed è lì che emergono subito i primi tentativi di depistaggio. Con il corpo di Mario trovato impiccato e la messinscena inverosimile del suicidio per spingere a una rapida archiviazione della vicenda.

Quello che invece nei giorni successivi affiora, grazie alle segnalazioni dei genitori e al lavoro prezioso della giornalista colombiana Claudia Julieta Duque, è la stretta correlazione tra la sua morte e l’indagine che, insieme ad altri colleghi della missione Onu, Mario aveva realizzato sul campo.

Il lavoro svolto aveva come focus l’attacco avvenuto nell’agosto del 2019, per mano dell’esercito colombiano, contro il centro di comando di Rogelio Bolivar Cordova, detto El Cucho, comandante di una delle fazioni di dissidenti delle Farc, che ha interrotto il processo di disarmo e smobilitazione previsto dagli accordi di pace.

Il rapporto Onu elencava le violenze compiute nei confronti dei dissidenti e delle loro famiglie, ed evidenziava come nell’attacco, tra le vittime, avessero perso la vita almeno otto minorenni, bambine e bambini di età compresa fra i 12 e i 17 anni.

Nel mese di novembre 2019 accade qualcosa che evidentemente compromette la posizione di Mario. Il senatore Roy Barreras, del partito di centrodestra all’opposizione, decide di usare le informazioni contenute nel rapporto – messogli a disposizione dal direttore di area della missione Onu – per attaccare l’allora ministro della Difesa, Guillermo Botero. Barreras interroga Botero sul bombardamento e, in merito alla morte dei minorenni, gli chiede conto del perché sia stata tenuta nascosta quella che il Presidente della Repubblica ha definito un’operazione “meticolosa” e “impeccabile”.

Pochi giorni dopo la discussione in Senato, Botero è costretto a dimettersi. Dunque, il rapporto di Mario si trova d’improvviso al centro di una querelle politica sul fallimento del processo di pace colombiano che ha strascichi rilevanti sul governo e sulle forze armate. Mario si sente in pericolo e chiede un trasferimento per allontanarsi da quei luoghi, per lui non più sicuri. Ma l’Onu ignora questa richiesta di aiuto.

E quello che accade nelle ore immediatamente successive al ritrovamento del suo cadavere fa pensare a una gestione poco chiara delle informazioni in possesso delle Nazioni Unite, in quel momento lontana dall’intenzione di agevolare le indagini per arrivare alla verità sulla morte di Mario.

E’ Christian Thompson Garzón, ex-militare e capo della sicurezza della Missione Onu nel Caguán, che, giunto per primo sulla scena del crimine, si fa consegnare le chiavi della casa del giovane italiano e dà ordine di pulire con candeggina tutti gli spazi dell’abitazione, in ore decisive per le indagini.

Nei giorni successivi emergerà che alcuni effetti personali – come il computer e l’agenda di Mario – sono nelle mani dell’Onu e non degli inquirenti. Così come, secondo la ricostruzione della giornalista colombiana Claudia Duque, il mouse del pc di Mario, trovato sporco di sangue e poi ricomparso ripulito nella sede centrale delle Nazioni Unite a Bogotá.

Ci sono troppe ombre su questa drammatica scomparsa. Mario Paciolla era un ragazzo di 33 anni. Ha vissuto e lavorato a Palermo, nella mia città, per qualche mese. Non ci siamo mai incontrati ma le amicizie che ha coltivato in quei mesi e che condividiamo restituiscono di lui un ritratto unico. Dopo la laurea in Scienze politiche all’Orientale di Napoli, aveva cominciato a lavorare all’estero e prima di trasferirsi in Colombia aveva vissuto in India, Giordania e Argentina.

Appassionato di giornalismo – giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti di Napoli – aveva scelto di vivere questi suoi anni in Colombia, a oltre 650 chilometri a sud di Bogotà, gestendo con successo un progetto di reintegro di ex dissidenti Farc anche attraverso lo sport. Con il canottaggio, il progetto aveva raggiunto risultati importanti: ai Mondiali di rafting in Australia del 2019, la nazionale colombiana è stata rappresentata da cinque ex guerriglieri e tre contadini di San Vicente del Caguán.

Pochi giorni dopo la notizia del ritrovamento del corpo di Mario, ho depositato un’interrogazione parlamentare chiedendo al nostro Ministro degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale di sollecitare con urgenza le autorità colombiane perché si faccia luce sulla sua terribile scomparsa.

Il governo della Colombia deve fare tutti gli sforzi necessari a chiarire le cause della morte di Mario. Il nostro governo, insieme all’Ambasciata italiana in Colombia, deve monitorare che la ricerca della verità sia prioritaria. Occorre chiarire cos’è successo la notte tra il 14 e il 15 luglio, ricostruire le responsabilità e individuare gli autori della barbara uccisione di Mario Paciolla.
Ormai è chiaro che quella del suicidio è una ridicola messinscena.

L’Onu, alla cui missione Mario si è dedicato con passione, deve mettere a disposizione delle indagini tutte le informazioni di cui dispone. Voglio rivolgermi al Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres. Confido si faccia personalmente carico della disponibilità promessa dall’agenzia nel collaborare con gli inquirenti. Sulla scomparsa di Mario Paciolla, l’Onu deve dire tutto quello che sa e non trincerarsi dietro l’immunità diplomatica dei suoi funzionari. Diversamente, si renderebbe complice di chi sta tacendo e depistando le indagini.

Verità e giustizia per l’uccisione di un nostro connazionale devono rientrare fra i primi punti dell’agenda politica fino a quando non sarà fatta luce su quanto di orribile è accaduto. E’ nostro dovere pretenderlo poiché in gioco c’è, ancora una volta, la dignità e la credibilità del nostro Paese.

L’atteggiamento indulgente tenuto, negli ultimi anni, rispetto a storie che drammaticamente ricordano quella che ha coinvolto Mario dimostrano una fragilità pericolosa che può minare i diritti fondamentali e la sicurezza dei cittadini italiani all’estero. Se passa il messaggio che si può uccidere, torturare o rapire un cittadino italiano senza conseguenze e che a farlo possano essere impunemente una parte degli apparati di sicurezza di un altro Stato è messo in discussione lo stesso patto di fiducia su cui si fonda la cittadinanza nel nostro Paese.

Questo è, purtroppo, l’effetto collaterale di una diffusa abitudine nel trattare con noncuranza questioni fondamentali come la tutela dei diritti umani e delle libertà democratiche. Abitudine che troppo spesso arriva a considerare normale la loro violazione anche quando – come in questo caso – riguarda nostri giovani concittadini.

Insistiamo. Lo dobbiamo alla famiglia di Mario. Al talento prezioso di un giovane uomo la cui storia, come quella di Giulio Regeni, Valeria Solesin, Antonio Megalizzi, Andy Rocchelli, Gloria Trevisan, Marco Gottardi – insieme a tutti gli altri – è rappresentativa di una generazione che ci rende orgogliosi del nostro Paese nel mondo.

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