Tagli superficiali ai polsi, incompatibili con la quantità di sangue trovata nella sua casa, peraltro ripulita a poche ore dalla morte. Poi la sua preoccupazione, unita alla sfiducia nei confronti di alcuni colleghi della missione Onu per cui lavorava. Un dossier su un bombardamento dell’esercito colombiano e la salma rientrata in Italia senza essere ricomposta dopo l’autopsia e “sommersa da chili di segatura”, scrive il Corriere. Mentre i medici colombiani che hanno analizzato il cadavere hanno omesso verifiche fondamentali, complicando notevolmente il lavoro del team legale in Italia. Sono ancora tante, tantissime le domande intorno alla morte di Mario Paciolla, collaboratore 33enne della missione Onu in Colombia, trovato morto nella sua casa di San Vicente del Caguan lo scorso 15 luglio. Cinque giorni dopo sarebbe dovuto tornare in Italia e il giorno prima di morire aveva già comprato il biglietto. Ma il 24 luglio a rientrare a Roma dall’aeroporto El Dorado di Bogotà è stata solo la sua salma. Inizialmente classificata come suicidio tramite impiccagione, la sua scomparsa assume sempre più i contorni di un omicidio. Un’ipotesi, peraltro, della quale sono fermamente convinti i suoi famigliari.

La ex fidanzata e il ruolo del contractor – Il Corriere della Sera riferisce quanto dichiarato da Ilaria Izzo, la ex fidanzata di Paciolla. I due sono stati legati per 9 anni – fino al 2019 – ma una volta finita la relazione sono rimasti in buoni rapporti. Anche Izzo lavorava per la stessa missione Onu e anche lei si trovava – e si trova tuttora – in Colombia, a Cali. Una volta saputo della morte di Mario, Ilaria è stata ricoverata, sotto shock. È stata interrogata “il 1 agosto scorso dal magistrato della Fiscalia (la procura, ndr) in videoconferenza con gli avvocati e con l’ambasciatore a Bogotà Gherardo Amaduzzi“, scrive il Corriere. Mario si fidava di lei. Anzi, di più: le diceva di essere l’unica persona di cui ormai si fidava. Le aveva rivelato di sentirsi spiato, tradito dai suoi stessi colleghi. Le diceva di avere perso la fiducia nei confronti di due di loro, forse perché era stato testimone di qualche fatto non meglio specificato. A cosa si riferisse non si sa: quel che è certo è che ai due le Nazioni Unite hanno “concesso la rinuncia all’immunità diplomatica”.

Il contractor – Il 1 agosto Ilaria, nel corso dell’interrogatorio, ha detto esplicitamente che Mario non si fidava di Christian Leonardo Thompson Garzón, il contractor che si occupava della sicurezza della missione Onu, nonché ex militare a riposo dell’esercito colombiano. È lui che ha trovato per primo il corpo di Mario, che ha buttato alcuni oggetti trovati in casa sua, che l’ha fatta ripulire prima che finissero le verifiche da parte della polizia colombiana. Le chiavi del suo appartamento sono state restituite già il 17 luglio al suo proprietario, Diego Hernández, che ha subito rimesso in affitto la casa. Tutto il personale della missione che era a San Vincente è stato quindi trasferito a Florencia, a circa 150 chilometri di distanza. El Espectador ha inoltre rivelato che nella sede della Missione Onu a Bogotà “è stato trovato un mouse del computer di Paciolla che dipendenti delle Nazioni Unite, guidati proprio da Thompson Garzón, hanno sottratto nel suo domicilio all’indomani della morte. Un accesso all’appartamento che era stato consentito da alcuni poliziotti colombiani, ora indagati per “ostacolo alla giustizia”.

Il biglietto di ritorno – Con la carta di credito di Ilaria – che lei stessa gli aveva prestato – Mario aveva comprato il biglietto per tornare in Italia per sé ma anche per la ex. Ma la ragazza non aveva intenzione di lasciare la Colombia: di questo avevano discusso al telefono il 14 luglio ad acquisto fatto, e Paciolla al telefono sembrava disperato, piangeva e aveva paura. La supplicava di partire con lui, le diceva che era la donna della sua vita. Anche la madre del collaboratore Onu aveva sentito spesso il figlio molto preoccupato nell’ultimo periodo e ne aveva discusso anche con Ilaria.

La seconda autopsia – In Italia l’equipe medico legale che ha ripetuto l’autopsia – guidata dal professor Vittorio Fineschi, che si è occupato anche dei casi di Stefano Cucchi e Giulio Regeni -, ha eseguito la Tac sulle ferite trovate sul corpo di Mario. Un esame che era stata trascurato in Colombia. I medici italiani hanno anche rilevato che la ferita riscontrata sul collo della vittima non sarebbe compatibile con l’impiccagione e non avrebbe potuto procurare il decesso. Nei prossimi giorni la relazione dei periti potrebbe aiutare a chiarire alcuni punti dell’indagine della Procura di Roma.

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