Non è difficile. Basterebbe che quello che si insegna a scuola valesse anche fuori. E a scuola, quest’anno, che ci piaccia o meno, ci stiamo trovando a spiegare, far comprendere e far rispettare un sacco di regole. Lo facciamo sempre in realtà, spieghiamo le regole grammaticali e ortografiche e non sarebbe male che uno se le ricordasse anche fuori da scuola, quando deve scrivere due righe all’amministratore di condominio o commentare pacatamente una notizia letta sui social.

Ci sgoliamo nelle fantomatiche ore di Cittadinanza e Costituzione (che tra parentesi non ci sono, ci hanno detto di rubacchiare tempo alle altre materie qui e là, ma non ci sono) per insegnare le leggi, i valori della Costituzione, il rispetto reciproco, la tolleranza. Ecco, queste cose qui se uno le applicasse anche fuori dalle quattro mura dell’edificio scolastico non sarebbero niente male.

Quest’anno ci tocca anche spiegare che con le malattie non si scherza, che mettere una mascherina può voler dire fare la differenza e tenere al sicuro le persone a cui teniamo, che non scambiarsi gli oggetti in continuazione può essere un accorgimento forse piccolo ma importante. L’altro giorno ho ripreso due alunni che facevano a metà del panino. Non per il gesto, nobile, per altro, ma perché se lo passavano mangiandolo a turno. Così, con disinvoltura, neanche di nascosto, e quanto mi è sembrato strano dover rimproverare per una cosa del genere. Sono quelle cose che restituiscono la misura di quanto ci sia cambiata la realtà da sotto le dita.

Ma è inutile che ci scartavetriamo i polpastrelli a forza di soluzione idroalcolica se poi in giro ci scambiamo tranci di pane e mortadella appena addentati, e lo dice una che non ha mai rifiutato una patatina pescata dal pacchetto promiscuo o un assaggio dei biscotti che “li provi, prof, li ha fatti mamma”. Ma quest’anno no. E fatico ad abituarmici anch’io, a questa realtà che ci rende un po’ più diffidenti e asettici, ma so che per prima devo dare l’esempio e non banalizzare, non minimizzare e soprattutto non disperdere il lavoro fatto.

Un po’ come quando hanno imparato per bene l’analisi logica e sai benissimo che devi continuare a dare un esercizio, ogni tanto, perché non perdano l’allenamento. Ecco, invece qui l’allenamento si perde, perché sembra che la scuola sia popolata da pazzi paranoici ipocondriaci sacerdoti dell’amuchina in gel e poi fuori, alè, vale tutto, il mucchio selvaggio sui mezzi (che non sono abbastanza), scambiamoci i telefoni, stringiamci a coorte, abbracciamoci forte e vogliamoci tanto bene perché siamo campioni del mondo. Non lo siamo, invece.

Siamo in bilico, navighiamo ancora a vista, aspettiamo la nuova puntata de Il Decreto e intanto teniamo le dita incrociate ogni volta che ci arriva una circolare sulla bacheca del registro elettronico. Giuro, è arrivata la circolare che annunciava un consiglio di classe straordinario e ho detto “ah, meno male, è solo un consiglio straordinario, che bello, non è l’Asl che ci mette in quarantena“. Provare sollievo all’idea di presenziare un consiglio di classe non è un buon segno di serenità mentale, fidatevi.

La didattica a distanza digitale integrata o come accidenti l’hanno chiamata quest’anno non è finita, qualcuno c’è dentro fino al collo, qualcuno fino alle ginocchia, tutti abbiamo un piede dentro, perché tornerà, alienante come l’anno scorso, senza neanche la spinta eroica della gestione dell’emergenza in atto. Qualcosa però si può fare, anche se i contagi sono solo lo zero virgola. La scuola conta sempre uno zero virgola, ci siamo abituati, ma io un sogno ce l’ho. Basterebbe che quello che si insegna a scuola valesse anche fuori.

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