È una situazione confusa, per molti versi angosciante, quella che si sta venendo a creare attorno alla salute di Donald Trump. I medici del Walter Reed Medical Center, in conferenza stampa, dicono che il presidente “si sente bene”, non ha la febbre da 24 ore e i suoi sintomi – tosse, affaticamento, congestione nasale – sono in via di risoluzione. Subito dopo il parere dei dottori, il chief of staff della Casa Bianca si avvicina ai giornalisti e dà una rappresentazione molto meno rosea della situazione. Le ultime 24 ore di Trump sarebbero state “molto preoccupanti” e decisive saranno le prossime 48. Altre fonti, sempre dell’amministrazione, spiegano che a Trump venerdì è stato somministrato l’ossigeno. I medici del Walter Reed avevano appena affermato che “il presidente non è sotto ossigeno”.

Tra versioni contrastanti, mezze verità e confusione si sta consumando la crisi più devastante della democrazia americana degli ultimi decenni. Un presidente di cui non è chiaro lo stato di salute versa in un letto di ospedale, circondato da un’amministrazione azzoppata dal virus. Non sono infatti positivi soltanto Donald Trump e la moglie Melania. È positiva la direttrice della comunicazione della Casa Bianca, Hope Hicks. È positiva un’altra sua consigliera di primo piano, Kellyanne Conway. È positivo il campaign manager di Trump, Bill Stepien. Sono positivi tre senatori repubblicani: Ron Johnson, Thom Tillis e Mike Lee (quest’ultimi due erano presenti alla cerimonia di nomina della giudice Amy Coney Barrett, che secondo alcuni è stato il focolaio da cui si sono sviluppate molte infezioni). È positivo l’ex governatore del New Jersey, Chris Christie, che ha preparato Trump al primo dibattito presidenziale. Un’intera classe politica, che per mesi ha minimizzato l’emergenza sanitaria e spesso ridicolizzato le procedure di sicurezza, vive ora nel terrore che la pandemia si allarghi e metta a dura prova la tenuta politica degli Stati Uniti.

All’incertezza sulle condizioni di salute del presidente, si accompagna la totale incertezza su quello che può succedere ora. Di sicuro c’è una cosa. La campagna di Donald Trump è finita venerdì, quando il presidente è stato accompagnato in ospedale. Anche se dovesse riprendersi nel giro di un paio di settimane (ma le ultime notizie non sembrano appunto così rosee), Trump difficilmente potrà tornare a viaggiare e far comizi prima del voto. Per lui, appunto, la campagna è conclusa. Sicuramente cancellato è il prossimo dibattito presidenziale con Joe Biden. Cancellati gli appuntamenti elettorali delle prossime due settimane e gli eventi di raccolta fondi. Per lui e per i repubblicani si tratta di un vero disastro. Trump ha sempre dato il meglio di sé nei comizi in presenza, davanti alla folla dei sostenitori. È lì che vengono creati gli slogan più violenti contro gli avversari (il famoso “lock her up” contro Hillary Clinton). È lì che lui sa infiammare la folla. I comizi sono le occasioni che meglio si adattano alla sua aggressività istrionica e sono ciò di cui va più fiero. Ancora martedì, nel dibattito presidenziale con Joe Biden, Trump si vantava delle migliaia di persone che accorrono ai suoi incontri.

La repentina conclusione della campagna di Trump avviene del resto nel momento per lui forse peggiore. Biden è avanti in tutti i sondaggi: la cosa più grave, per il presidente, è che il vantaggio di Biden è un dato rimasto costante per tutti gli ultimi mesi. Sparire dalla scena pubblica nel momento in cui ci sarebbe più bisogno di apparire, di intervenire, di attaccare l’avversario (che intanto continua a far comizi in giro per l’America) è dunque quanto di peggio potesse succedere alla declinante campagna repubblicana. Anche perché, nelle prossime ore, nei prossimi giorni, il nome di Trump verrà invariabilmente associato al Covid-19, alla malattia, alla salute perduta. E questo è un disastro per il leader che il suo dottore definiva nel 2015 “l’uomo più in salute” pronto a salire alla Casa Bianca. Un sondaggio Morning Consult/Politico di venerdì, quindi a poche ore dall’annuncio della positività, mostrava che il 68% degli intervistati desidera che il presidente si rivolga direttamente agli americani e dia notizie sulla sua diagnosi di Covid-19. La preoccupazione per la salute di Trump, i dubbi sulle sue condizioni, hanno finito per mettere in secondo piano tutto il resto.

Non si tratta però soltanto della campagna elettorale. È più in generale la credibilità politica di Trump e della sua amministrazione ad affondare. Per mesi Trump ha chiesto di riaprire l’economia, le scuole, le attività ricreative. Ha chiesto agli americani di tornare a vivere normalmente, ha spiegato che la fine della pandemia era “in vista”. Ha ridicolizzato il suo avversario democratico (ancora martedì, nel dibattito televisivo) per l’abitudine di portare la mascherina. Si è vantato di aver organizzato comizi con migliaia di persone stipate senza protezioni in palazzetti e luoghi chiusi. Ancora qualche giorno fa, alla cerimonia di nomina della giudice Amy Coney Barrett, lui e i suoi uomini apparivano orgogliosamente gli uni accanto agli altri, senza mascherina. L’atteggiamento di sfida nei confronti del virus, e di aperta messa in discussione dei consigli della scienza, è alla fine diventato una costante del mondo più conservatore e il presidente ci si è adeguato con orgoglio ed entusiasmo. Ora che è lui a essere colpito dal virus, tutta quella costruzione retorica miseramente crolla.

Uno dei segnali più interessanti della confusione che regna nel campo conservatore viene dalla reazione dello zoccolo duro del consenso trumpiano, i sostenitori inflessibili del MAGA, il “Make America Great Again”. Teorie complottiste, in certi casi largamente assurde, si moltiplicano in queste ore sui social e su piattaforme come QAnon. Su quest’ultima, per esempio, girano opinioni secondo cui la Cina avrebbe realizzato un “tentativo di assassinio”, tramite il Covid-19, della famiglia presidenziale. Alcuni hanno interpretato il tweet di Trump sulla necessità di superare il momento difficile “together”, insieme, come un appello “to get her”, a catturare Hillary Clinton, che starebbe dietro all’ennesimo complotto contro Trump. E DeAnna Lorraine, repubblicana della California, ha fatto notare una cosa: “Non trovate strano che non ci sia alcun democratico di primo piano che abbia avuto il coronavirus, mentre la lista dei repubblicani si allunga in continuazione?”

Sono le convulsioni di un mondo che appare disorientato di fronte alla caduta del suo presidente (ha assicurato Brenden Dilley, host radiofonico di provata fede trumpiana: “Lui non ha il culo debole, non ha i geni dei liberal, è una questione di fottutissima genetica”). La realtà, in fondo, è molto più semplice, e preoccupante, di quello che il cuore del MAGA pensi. Mai la salute di un presidente americano, dall’attentato a Ronald Reagan del 1981, è stata così a rischio. La diagnosi di Covid per Trump e molti dei suoi è l’esito finale di una politica spericolata che ha cercato di nascondere i 210mila morti americani. La realtà, a lungo negata, è riemersa. Il Covid non se ne è andato e diventa anzi il tema che condizionerà l’esito di queste elezioni, la vita del presidente, il destino degli Stati Uniti.

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