Si avvicina il grande giorno, lo aspetto da mesi eppure non lo percepisco reale, come niente del resto, mi sento impreparata, confusa, incredula. Farò quanto richiesto, giuro, in questi ultimi giorni, tra le 10 ore di smartworking, le due di faccende domestiche, il cane, i pranzi, le cene, i bambini, l’educazione, il confronto… farò una lista e poi tutte le compere necessarie. Due mascherine, il gel, la borraccia, un sacco dove mettere la giacca e lo zaino che devono rimanere impacchettati e fuori dall’aula, ah sì le due merende naturalmente, e i libri, ma certo in ultimo anche loro, quella caterva di libri… che poi non si capisce perché alle medie si debbano acquistare se è comunque scuola dell’obbligo.

Alcune mamme propongono di farglieli scaricare tutti su un tablet (se la preside approverà) e di fargli portare solo quello, a scuola, così non saremmo costrette a sanificare lo zaino ogni volta che tornano a casa (l’avrei mai fatto?) ma soprattutto non sarebbero costretti loro a portare quegli enormi fardelli fino al quarto piano, dove hanno creato delle nuove aule, su su in alto a destra.
Forse non è male l’idea ma… cambierà tutto. A scuola con il tablet.

Riuscirò a mettere una sveglia e a comprimere questo tempo dilatato? Il primo alle 8.10 alle medie, il secondo alle 8.20 alle elementari. Non un minuto di più, non un minuto di meno: è ordinato dalla circolare. Ma quanto durerà? Quanto ci metteremo ad avere un caso a scuola e di nuovo tutti a casa? E’ tutto continuamente “in progress”, e soprattutto è tutto completamente diverso; non si va più per uffici o agenzie perché è tutto chiuso – tranne i supermercati, quelli sono aperti h24 e sono anche molto più cari di prima –, lavoriamo tutti da casa.

E con i bambini in casa. E siamo totalmente nel pallone. Il pc è sempre operativo e anche la metà del nostro cervello che si ostina a mantenere l’attenzione sul lavoro, che non è però più una realtà a sé, non è un campo diverso della nostra vita, non è neanche più nostro. E’ della famiglia, insieme alla Dad, i compiti, le pulizie, i tik tok, le sfide online di fortnite, le telefonate dei bambini, le chat di whatsapp… tutto è di tutti, è come un grande polpettone. E ci si sente un po’ così, appesantiti, annientati, impigriti… come dopo averne mangiato, tutti insieme, uno molto pesante.

E anche i bambini, che di solito digeriscono tutto, e che sembravano aver digerito anche questo, anche loro invece hanno poi manifestato, in forme meno espressamente leggibili, la loro confusione, la loro frustrazione, il senso di spaesamento, la mancanza di appigli, la vacuità della vita.

Ed è questa scioccante presa di coscienza che abbiamo dovuto assorbire noi tutti, che ci ha lasciati con meno vigore e intraprendenza, la vacuità della vita; la sua imprevedibilità si è di nuovo affacciata al nostro mondo, con un sorriso da Joker, battendoci le mani di fronte alla faccia, e risvegliandoci da questa pluridecennale illusione di essere in pausa dalla storia. Tutto è tornato imprevedibile, la natura ha ripreso il comando; diviso con la realtà virtuale. E noi? Siamo nel mezzo, senza riferimenti orari né luoghi né sicurezze prossime future, come al risveglio da un’anestesia. Siamo nel corpo, ma poco presenti, non veramente padroni di noi stessi.

Si aprirà una nuova parentesi culturale? Torneremo a piegare i nostri colli non solo per digitare i device ma anche per guardarci profondamente dentro? Si affaccerà una nuova generazione di Stürmer und Dränger? Si tornerà ad affrontare temi esistenziali, si comincerà ad affrontarne di spirituali, oppure in questa mixed reality in cui niente è più certo fuori, ci si alienerà sempre più, o per sempre, da noi stessi trasferendosi nei nostri invincibili avatar?

Difficile difficilissimo riportarli a terra, i bambini, immersi nei loro superpoteri virtuali. Decisamente il più difficile dei lavori che è toccato a noi genitori in questi lunghissimi 6 mesi di pandemia. Riportarli alla realtà, anche perché non ce n’era più una definibile. Non c’erano più luoghi istituzioni orari comunità rituali, non c’era più la società. Quindi come riattrarli? A cosa? Come entrare nel loro interregno, e riportarli ogni tanto tra noi… a fare cosa poi? Non siamo più ormai famiglie ma ectoplasmi unici, in cui i ruoli sono sfumati, insieme all’abito adeguato, all’orario da rispettare, allo spostamento da fare. E’ un unicum destrutturato all’interno del quale è più che mai difficile orientarsi come educatori, e ritrovare un po’ di sé come individui.

Ecco, se la scuola rinizierà, e soprattutto se durerà, sarà prima di tutto uno strumento fondamentale per riappropriarci dei nostri ruoli, dei nostri spazi… della nostra identità.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Successivo

Riapertura scuole, la speranza è che vada tutto bene ma intanto nessuno fa nulla

next