L’anno scolastico è dietro l’angolo e si attende con trepidazione la riapertura delle scuole. Almeno per due buoni motivi: uno, un desiderio di normalità, nei limiti del consentito; due, non è più gestibile una situazione per cui bambini/e ed adolescenti siano confinati a casa, lontani da una socializzazione che è fondamentale.

Apro una parentesi: in questo spazio non mi occupo di scuola. È un blog politico, il mio. Tratto di diritti delle persone Lgbt+ in chiave intersezionale. Ma non vivo in un contesto avulso dalla realtà. Il mio primo lavoro è quello dell’insegnante. Anche io, come molti e molte docenti, nutro molte speranze per la riapertura. Tra molte incognite. Cercherò di andare per punti.

Innanzitutto, mi interrogo sulla prima delle questioni: quali risorse lo Stato investirà per il reale potenziamento della scuola pubblica, da qui ai prossimi anni? Il Covid-19 ha mostrato le falle di sistema di una politica – fondamentalmente di centro-destra – che ha tagliato due settori cruciali: istruzione e sanità. È forse questa la vera eredità del berlusconismo. Con le conseguenze che vediamo: strutture inadeguate e fatiscenti, mancanza di organico, stipendi irrisori. Bisogna intervenire proprio in tali ambiti, al fine di maggior riconoscimento sociale.

A questo proposito, ed è la mia seconda aspettativa, c’è bisogno di una narrazione nuova. L’informazione italiana sembra giocare più sul sensazionalismo che sull’obiettività dei fatti. Se prima vennero a prendere i runner, in quell’odio collettivo che la pandemia ha scatenato contro categorie ad hoc, ultimamente il corpo docente è stato narrato come casta privilegiata che, oltre ai soliti tre mesi di ferie e dopo esser stata a casa da febbraio, non vuole più tornare a lavorare. Per capriccio – si veda la querelle sui test sierologici – e per altri animali fantastici che si trovano per lo più nel cervello, solitamente vuoto, di chi crede a certe mistificazioni. Un’informazione capace di raccontare la realtà, anche quella della scuola, sarebbe un valido aiuto per una ripartenza in sicurezza. Salubrità è anche essere percepiti, come categoria, da un’utenza non necessariamente ostile o resa tale.

Terzo aspetto: cosa avverrà una volta aperte le scuole? Si è rotto, in questi mesi, un delicato equilibrio. Non è colpa di nessuno. La popolazione scolastica è vittima di una situazione che ha messo a dura prova i rapporti umani tra docente e discente. Non più l’aula, dove si vivono relazioni e si consumano contrasti – e servono anche quelli, fidatevi – che stabiliscono equilibri e a portano vivere umanità profonde. Ma lezioni a distanza, in un quadro che ci ha vetrinizzato contro voglia e sotto la spinta inevitabile dell’urgenza.

È mancato, in buona sostanza, quel contatto umano che si struttura in presenza. Non che la didattica a distanza non sia stata utile, per carità. Ma il setting didattico – in una parola più semplice: l’aula – è qualcosa che va vissuto “corpo a corpo”. Dovremo mantenere distanze di sicurezza, indossare mascherine, misurare i passi. E va bene: faremo tutto quanto è necessario per garantire la sicurezza di milioni di ragazzi e ragazze. Ma come vivremo questo “distanziamento” è qualcosa di cui ancora non abbiamo la misura, per il semplice fatto che è una situazione nuova anche per noi.

Lavoro in una classe d’età per cui il contatto fisico è importante: un mio allievo aveva l’abitudine di salutarmi con il “pugno”, un gesto affettuoso per cui le nostre mani chiuse si sfioravano. Questo, al momento e non si sa per quanto ancora, non sarà più possibile. Sembra di vivere la peggiore delle distopie. La differenza con Neflix sta nel fatto che questa è vita vera. Mi chiedo quali saranno le implicazioni psicologiche, che si riverseranno sulla qualità del lavoro, delle relazioni umani e del successo didattico. Sarà necessaria molta pazienza e molto spirito di sacrifico. Molto impegno. Tutta la nostra professionalità, insomma.

Concludo toccando la paura che abbiamo, tutti e tutte: lo spettro della chiusura. Una sciagura che spero non si concretizzerà. Perché la scuola è “tempo libero”. È questo il suo etimo. Nasce così, sin dai tempi più remoti. Il privilegio di poter studiare era dato a chi non aveva incombenze lavorative altre. Che fosse il servizio militare o il lavoro nei campi. I latini chiamavano la parte finale della loro vita otium, ed era dedicata allo studio. Tempo libero nel suo significato più nobile: avere il privilegio dell’accesso ai saperi, senza dover pensare ad altro.

Vivere questa libertà nella costrizione di tempi contingentati in luoghi virtuali è qualcosa che si spera non avvenga più o che accada il meno possibile. Abbiamo bisogno dell’appoggio di tutti gli attori sociali: famiglie, politica, istituzioni, informazione. Per ricostruire non solo la normalità, ma un’idea migliore di società. Quella in cui ci si incontra e ci si ri-conosce. Per crescere insieme.

Buon inizio e buon anno scolastico a tutti e tutte. Ne abbiamo bisogno.

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