“Nelle graduatorie provinciali di italiano, storia e geografia sono 124esimo. Non male, siamo in tutto 4.472. E poi ci sono colleghi più anziani di me. Persone del 1962, del 1960 e addirittura del 1957. Un modo come un altro per farmi coraggio. Per concedermi ancora fiducia. Anche se non ne ho, ormai. Intanto, aspetto. Come lo scorso anno e quelli prima. Non cambia niente. Insegnerò italiano, oppure dovrò accettare il sostegno? In quale scuola andrò? Non lo so. E comunque non importa. Non ri-avrò nessuna delle classi passate. Mie per un solo anno. E neppure i ragazzi ai quali sono stato accanto. Da ottobre a giugno. Anche per questo non ho paura del Covid! Non sono spaventato dalle nuove regole. Ci sono abituato alle emergenze. Ma non mi abituo proprio a stare su una ruota che gira e poi si ferma. Senza che io possa fare qualcosa”.

Mario Rossi è uno dei tanti insegnanti precari che da quest’anno provano l’inserimento nelle graduatorie scolastiche provinciali (Gps). E’ una delle cavie che sperimentano l’ennesima mini-riforma della scuola. E’ l’insegnante numero 124 in una delle liste provinciali dei tappa-buchi appartenenti alla classe di concorso Italiano, storia e geografia.

E’ passato attraverso ministri e sottosegretari. Governi e opposizioni. Ha imparato ad ascoltare tutti, per educazione. Ma a non credere più a nessuno. Sa bene che anche il prossimo anno ce la dovrà fare, da solo. Come tanti suoi colleghi. A prescindere da circolari ministeriali ed indicazioni del dirigente scolastico.

“Cari colleghi, io mi fermo qui. Da quest’anno niente lezioni e consigli di classe. Ho già svuotato il mio armadietto in sala professori. Mi dispiace. Mi dispiace per Voi e anche per i ragazzi. Mi dispiace che il mio ultimo anno sia stato in gran parte ‘a distanza’. Ma non sopporto più la Scuola. Troppe ingerenze. Da parte di troppe persone. Non solo genitori, spesso invadenti. Ma anche dirigenti frequentemente così investiti dal proprio ruolo istituzionale da dimenticare quel che dovrebbero rappresentare. Sostanza e non soltanto forma. Buon lavoro, di cuore”.

La mail che Francesca Bianchi ha inviato pochi giorni fa ai suoi ex colleghi in una scuola media di Roma è un saluto, ovviamente. Ma è anche un commiato, triste. Di un insegnante che ha deciso di andare in pensione prima del tempo. A causa di quel che è diventata la scuola. Insomma, il Covid non c’entra, se non marginalmente.

I banchi singoli e le mascherine da indossare. Gli spazi e le regole da rispettare. Come le accortezze da avere. Non è questo ad aver allontanato Francesca e ad intimorire Mario. Limitazioni e restrizioni imposte dalla pandemia si accettano. Quello che è diventato insopportabile è l’inadeguatezza del Ministero dell’istruzione. La sensazione di scarsa conoscenza di cosa sia la scuola, nella realtà, che si avverte quasi sempre. Da tempo. Ora con Lucia Azzolina. Prima con la Fedeli e la Giannini, a ritroso almeno fino alla Moratti.

Perché si sa, al di là dei proclami elettorali, la scuola rappresenta un tema secondario nell’agenda politica italiana. E se dallo scorso marzo ha acquistato rilevanza, il merito è soltanto della pandemia. In ogni caso l’anno scolastico che prima o poi inizierà è giustamente presentato come quello della “ripresa”. Il primo in presenza dopo la chiusura dello scorso marzo. Vero! Ma sarà anche l’anno nel quale lo studio dell’educazione civica tornerà. Trasversale alle altre materie e obbligatorio in tutti i gradi dell’istruzione. Circostanza questa tutt’altro che irrilevante.

Dal momento che dovrebbe indiziare come la classe sia il luogo nel quale si forniscono nozioni, certo. Ma anche modelli di comportamento. Paradigmi ai quali far riferimento. A partire dalla nostra Costituzione. Perché la scuola deve avere anche questa funzione. Formare cittadini.

In un Paese nel quale non di rado dei parlamentari sbeffeggiano le più alte cariche dello Stato è necessario soffermarsi sull’educazione civica. In un Paese nel quale rappresentanti politici vengono condannati per reati di vario tipo, lo studio della carta costituzionale è la declinazione di principi fondanti. E fondamentali per la democrazia.

Chissà che almeno Mario riesca a farlo. Come tantissimi suoi colleghi, riesca a lavorare anche quest’anno. Insegnando principi, oltre che nozioni. Riesca a farlo nonostante sia solo una cavia. E continui a salire sulla ruota, quando gliene danno la possibilità. Riesca nonostante dal Ministero sembra quasi che vogliano complicargli la vita, in ogni modo.

Tra molte incertezza, un dato certo. Anche quest’anno in classe ci andranno gli insegnanti e non la ministra. Per fortuna.

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