La gatta randagia e senza nome ora si chiama Camilla, come la regina amazzone di Priverno cantata da Virgilio nell’Eneide. Le ho dato il nome prima che abbandonasse casa mia dentro una gabbia-trappola, che mi ha imprestato una gentile guardia zoofila, contattata dalla persona di cui vi parlerò dopo e che è stata la mia salvezza. È stato un distacco doloroso. Il giorno prima erano andati via i gattini, catturati in due tempi. Come tremavano, poverini. La mattina dopo l’addolorata mamma che non aveva fatto altro per tutta la sera e la mattina che chiamare e cercare i suoi cuccioli. L’unica nota positiva è che, per la terza volta da quando è cominciata questa storia, sono di nuovo tutti insieme.

E lei, Camilla, continua ad allattarli, pur essendo i piccoli ormai perfettamente svezzati. Dove sono? Già, dove sono? Ed è qui che si intrecciano competenze non competenti, rimpalli, notevoli perdite di tempo anche con offese non dovute, consigli richiesti e non pervenuti nonché solleciti spasmodici per un aiuto obbligato, data la “randagità” degli animali che tutti dicono, a chiacchiere o per iscritto, di voler aiutare.

Che ci sarebbero state enormi difficoltà lo avevo capito dal momento in cui si erano persi i due gattini. Telefona di qua e telefona di là, il solo consiglio ricevuto era stato… ci penserà la madre. Ma come già sapete anche qui ci siamo dovuti arrangiare noi. Riunita la famigliola, dunque, bisognava lavorare per il futuro. Chi ve lo ha fatto fare? Ci hanno anche detto più volte: se li ignoravate se ne sarebbero andati da soli. Lo so, lo so che molti prima di noi hanno fatto così, creando un randagismo a catena. Noi invece abbiamo preso una decisione scomoda. Noi li abbiamo nutriti e pure viziati.

Mio marito gli dava il riso cucinato insieme al macinato fresco e a croccantini inumiditi. Oppure alici fresche diliscate e addirittura cucinate per loro dalla mia vicina di casa. La ricompensa è stata vederli giocare felici e scorrazzare nel mio orto arrampicandosi sull’albero di prugno e entrare nei buchi del vaso delle fragole riempito di terra solo a metà. Una delizia e una tenerezza infinita. Non potendo però tenerli ho cominciato a chiamare enti e associazioni che in teoria si dovrebbero occupare del problema. In teoria, infatti.

A Latina esiste un canile e non un gattile e quindi questo è già di per sé un limite. Ho chiamato le associazioni preposte, ma niente. Ho chiamato il Comune, ma niente. E allora? Decido di fare un post su Facebook e dai miei contatti arriva un nome: Roberta Sarlo, una volontaria privata. La chiamo. La prima cosa che mi dice è che bisogna far sterilizzare la gatta. Cavoli, fino ad allora nessuno si era preoccupato della madre. Decido di affidarmi completamente a lei.

Portiamo la gatta dal veterinario e quindi la riportiamo a casa mia perché continuasse ad accudire i gattini, allattarli e difenderli dai rapaci. Una settimana ancora e li trasferiamo da Roberta. La mia salvezza. Roberta di origini calabresi, anche blasonate, abita in campagna e negli ultimi due anni ha accudito più di 150 cani e almeno 100 gatti. Nei dieci anni precedenti era vissuta a Ventotene e si era occupata insieme ad altre tre ragazze della colonia felina dell’isola.

Tornata a Latina ha continuato a fare la stessa cosa. Vive per questo e lo fa con tanto amore finanziandosi con vari lavori. Un part time alla Asl e il mercatino della prima domenica del mese. Fa tutto da sola. Non lo ritengo giusto e continuo a telefonare e a informare. Questa mattina parlo finalmente con la persona giusta, una donna pragmatica che ci può aiutare. Un’autorità sul campo e qualcosa potrebbe muoversi. Ma aspettiamo i fatti. Ora bisogna trovare una famiglia affettuosa per i cucciolotti e quindi mi aspetto un grande impegno da voi tutti.

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