“Quell’atto di impulso non andava fatto”. E quell’atto è l’ormai celebre circolare del Dipartimento amministrazione penitenziaria del 21 marzo scarso. Non ha dubbi Sebastiano Ardita, presidente della I Commissione del Csm e tra il 2002 e il 2011 direttore generale del Trattamento detenuti del Dap. Il magistrato è stato ascoltato dalla commissione Antimafia, che sta continuando il suo lavoro sulle scarcerazioni di 223 detenuti in regime di 41bis e Alta sicurezza posti ai domiciliari durante l’emergenza coronavirus. “Sono usciti 250 mafiosi, è un fatto senza precedenti, mai accaduto”, ha commentato a Palazzo San Macuto, dove l’organo parlamentare sta cercando di capire come è nata quell’ormai famosa nota del Dap e se ha avuto come fine proprio la concessione dei domiciliari a detenuti esclusi dalle leggi incluse nel Cura Italia. Quella circolare è stata sospesa dal Dap proprio oggi.

“La circolare era una nota con cui il Dap assumeva la sua posizione rispetto al problema del Covid, ma non può essere letta sganciata da un contesto. E’ successo che a un certo punto, mentre il Paese si è preparato all’emergenza ciò non sembra essere avvenuto per l’universo penitenziario” che invece “avrebbe dovuto farlo perché ci vuole un piano per il carcere“, ha spiegato Ardita. “La circolare – ha continuato – si innesta in quadro in cui la premessa, non fondata, è stata che il Covid si diffonde in maniera maggiore nei penitenziari”. Per il magistrato dunque quel documento era un “atto di impulso che non doveva essere fatto. Dal mio punto di vista non andava elaborata una nota del genere. Contraddice il compito del Dap che è quello di assicurare il massimo dei servizi”. Insomma: secondo l’ex direttore generale dell’Ufficio Trattamento detenuti anche in caso di un’epidemia il Dap deve essere in grado di mantenere le condizioni di sicurezza dentro alle carceri, senza dover ricorrere alle scarcerazioni di massa.

“La circolare – ha spiegato il consigliere del Csm – si innesta su questo quadro: il sillogismo che il Covid carcere si diffonde più rapidamente, premessa non fondata . La conseguenza è che il rischio di trovarsi dei provvedimenti giudiziari su un dato non suffragato dalla realtà è molto elevato. C’è stata una situazione a cui hanno concorso più fattori. E la circostanza che vi fosse un pericolo Covid poi è diventata una verità, rimpallata tra organi istituzionali e circolari”. Quella circolare, tra l’altro, secondo Ardita “non poteva essere firmata” dalla dirigente di turno e lo stesso “Romano (il direttore generale della direzione detenuti e trattamento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) ha detto che è stata firmata per nome e conto suo”

Ardita ha commentato anche la gestione dei penitenziari durante l’emergenza: come è noto, infatti, i penitenziari di tutta Italia sono esplosi in una serie di rivolte contemporanee tra il 7 e il 9 marzo. “Tranquillizzando i detenuti si sarebbe impedito che qualcuno soffiasse sul fuoco della rivolta dei mesi scorsi e si poteva agire in modo da tranquillizzare la popolazione detenuta in merito alla diffusione del virus. Distendendo la situazione si poteva agire in modo da tranquillizzare la popolazione detenuta e anche gli agenti. La risposta è stata molteplice – ha detto Ardita nella sua ricostruzione esterna rispetto a quanto accaduto – c’è stata una normativa che è ha previsto a certe condizioni la detenzione ai domiciliari fuori dai canoni ordinari, perché l’hanno ottenuta anche persone erano ritenute non idonee, sul presupposto del pericolo Covid in carcere: un presupposto non suffragato dalla realtà”.

Secondo Ardita “le rivolte non sono fatti accaduti per caso, sono un punto di caduta di anni di disattenzione rispetto questa realtà. A un certo punto ci sono alcuni eventi critici, alcune circostanze gravi che avvengono nel carcere subiscono una moltiplicazione: ad esempio le aggressioni al personale della penitenziaria erano 294 nel 2010 crescono fino a 805 nel 2019, le minacce a pubblico ufficiale passano da 270 a 3mila, il rinvenimento di coltelli da 37 a 200, le infrazioni disciplinari passano da 579 nel 2010 a venti volte tanto”. Il magistrato aggiunge che questi dati “fotografano il clima interno alle carceri” e “fotografano una realtà fuori controllo”. La crescita degli atti di “autolesionismo” così come quelli sul “mancato o ritardato rientro in carcere di detenuti che ottengono il permesso” indicano “l’evidente disagio delle condizioni di vita dei detenuti”.

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