Almeno quattro anni di bollette idriche inviate “erroneamente” all’indirizzo del Ministero dell’Istruzione. Una sentenza di archiviazione della prima denuncia perché “l’immobile pubblico non era effettivamente destinato all’esercizio delle funzioni istituzionali”. E la metà degli occupanti censiti, che si dichiarano “in emergenza abitativa”, sono in realtà dipendenti pubblici che percepiscono anche stipendi “ordinari”, mentre una parte dei restanti lavora in un noto ristorante romano di proprietà della moglie di Gianluca Iannone. Grazie a tutta una serie di casualità, intoppi e omissioni la “grande famiglia” di CasaPound dal 2003 ha resistito all’interno del prestigioso immobile di via Napoleone III, oggi di proprietà dell’Agenzia del Demanio (e dunque del Ministero Economia e Finanze). Nell’informativa della guardia di finanza consegnata nel 2019 alla Corte dei Conti – sulla base della quale i magistrati contabili contestano un danno erariale di 4,6 milioni di euro – si può leggere nero su bianco l’excursus di 17 anni di una delle occupazioni abusive più longeve fra le 78 presenti nella Capitale. Occupazione minata, per la prima volta, dal decreto di sequestro preventivo emesso dal gip di Roma in relazione all’inchiesta della Procura per associazione a delinquere finalizzata all’istigazione razziale.

I dipendenti del Mef e quelli di Comune e Regione – La guardia di finanza ha consegnato al procuratore generale della Corte dei Conti, Andrea Lupi, un elenco di 16 nomi. Fra questi ci sono due dipendenti del ministero Economia e Finanze, ente proprietario dell’immobile. La prima, D.D.G., è una donna di 41 anni impiegata presso la Direzione centrale sistemi informativi e innovazione, che fra il 2014 e il 2017 ha dichiarato un reddito imponibile di Latina di circa 17mila; la seconda S.G., invece è un’altra 41enne, che lavora alla Ragioneria territoriale dello Stato ma che nel 2017 ha dichiarato solo 11mila euro di reddito. C’è anche F.C., dipendente del Policlinico Gemelli di Roma e uno stipendio medio annuo di 20mila euro.

Poi ci sono i dipendenti di Regione Lazio e Comune di Roma. D.N., impiegato 54enne di LazioCrea Spa, con 19mila euro di imponibile, è sposato con E.C., dipendente della municipalizzata capitolina Zetema, 17mila euro di reddito. Sempre in Zetema lavora M.C., 17mila euro annui. S. P., invece, è una dipendente Cotral, la società dei trasporti della Regione Lazio. Nel 2016 è stata candidata al Comune di Roma nelle liste della tartaruga frecciata: dichiara in media 27mila euro l’anno, mille euro in più del marito, che lavora sempre in Cotral. Dipendente diretta del Comune di Roma è invece S.C., con uno stipendio medio annuo imponibile che si attesta sui 22mila euro.

Il caso delle bollette Acea inviate al ministero – Stipendi ordinari da impiegati normali diventano dei salari discreti quando non ci sono mutuo, affitto e bollette da pagare. “Se vogliono far rendere l’immobile, siamo disposti a pagare un canone, ovviamente calmierato”, ha dichiarato il portavoce di Casapound, Simone Di Stefano, durante il punto con i cronisti. Fino al 2014, in realtà, esistevano delle utenze intestate al movimento. Poi è subentrato la legge 47/2014 (decreto Lupi) che ha vietava agli occupanti, fra le altre cose, avere servizi elettrici e idrici. Ma con Acea accade qualcosa di strano. La multiutility capitolina l’8 giugno 2004 riceve dal Miur (allora proprietario dell’immobile) richiesta di interrompere l’erogazione. Acea blocca la fatturazione, ma non la fornitura, perché “per chiuderla i tecnici sarebbero dovuti intervenire all’interno dello stabile, esponendo a rischio la loro incolumità”. Ma dal 28 settembre accade una cosa ancora più strana: “Con il passaggio al nuovo sistema informatico di fatturazione – si legge – sono state erroneamente emesse bollette a carico di Miur intestatario della fornitura”. Tra queste una dell’importo di euro 238,93 risulta addirittura essere stata pagata dal ministero, forse per errore, il 14 dicembre 2018.

La prima denuncia del 2004 e l’archiviazione del giudice – L’inchiesta del pm Eugenio Albamonte non è la prima relativa allo stabile dell’Esquilino. E la vicenda è ben ricostruita dai finanzieri. La prima denuncia fu presentata da un funzionario del Ministero Istruzione nel 2003, poche settimane l’ingresso “dimostrativo e temporaneo” nell’edificio dell’allora CasaMontag. Una querela affidata ai carabinieri di Piazza Dante. La sentenza “di non doversi procedere” venne pronunciata quattro anni più tardi, il 2 ottobre 2007, dalla giudice Valeria Ciampelli. Nell’atto si descrive il vizio di forma. Al momento dell’occupazione l’edificio non era destinato “all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente pubblico”: serviva dunque una querela di parte da parte del Miur, rendendo vana la “procedura d’ufficio” avviata. In realtà la denuncia c’era stata, e l’aveva presentata un funzionario del Ministero. Il quale, tuttavia, era “sprovvisto di procura in tal senso”. Tradotto: è come se a querelare fosse stato un cittadino comune. Risultato: i leader di Casapound tutti assolti.

Ma c’è anche un altro aspetto. I finanzieri contestano anche al Miur e all’Agenzia del Demanio il fatto di non essersi costituita parte civile al processo. Il ministero si difese affermando di “non essere venuto a conoscenza dell’esito del procedimento”, nonostante le notifiche della Procura allegate all’informativa. La direzione di viale Trastevere ritenne anche che “l’occupazione dell’immobile non ha recato alcun danno al Miur” in quanto si sarebbe provveduto ad una “ottimizzazione degli spazi”. Non solo. Anche i funzionari dello stesso Demanio si sarebbero disinteressati della questione, affermando di “non conoscere l’identità degli occupanti”, nonostante i volantini e le bandiere di Casapound e l’insegna gigantesca con font stile fascista per 16 anni rimasta incollata al muro del palazzo di via Napoleone III.

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