Ascoltando le pretestuose e sfinenti diatribe di questi giorni tra governo e governatori, una domanda nasce spontanea: perché invece di abolire le Province, non aboliamo le Regioni? Sono pienamente conscio, che si tratta di un discorso impopolare, che da un lato va contro molti (troppi) interessi legati a queste istituzioni costosissime e ben poco utili e dall’altro solleverebbe subito la questione identitaria. Sì perché spesso noi italiani ci identifichiamo più nella regione che non nella nazione. È però anche vero che poi, se la discussione va avanti, all’interno della stessa regione ci si riconosce nella provincia. Ricordo una chiacchierata in treno con un signore dall’inconfondibile accento. Quando ho detto: “lei che è toscano”, mi ha subito fermato, puntualizzando: “No, sono di Firenze”.

Le Regioni, come le studiamo oggi a scuola, sono un’invenzione piuttosto recente. Dal punto di vista istituzionale risalgono al 1948, con la Costituzione della Repubblica, con una successiva aggiunta, nel 1963, del Molise e del Friuli Venezia Giulia. In ogni caso fino al 1970, non è esistito nessun potere regionale.

A dire il vero l’idea di dividere l’Italia in regioni fu di Augusto, che divise il territorio della penisola in undici zone, indicate con i numeri. Molte di esse non avevano nulla a che vedere con le regioni attuali. Per esempio, a nord del il Po c’erano solo due regioni la IX a ovest che andava dalla Valle d’Aosta al fiume Adda e la X a est che arrivava dall’Adda fino all’Adriatico: Quella che oggi è la Lombardia e che allora non si chiamava così perché i Longobardi non erano ancora arrivati, era divisa a metà. Di fatto però le regiones non governavano in alcun modo il loro territorio. La ripartizione serviva a rendere più agevoli il censimento e la riscossione delle tasse.

Da allora al 1948 non se ne è più parlato di regioni, eppure su questi confini quanto mai arbitrari si sono costruite identità che sembrano ataviche e inscalfibili. Si sono addirittura istituiti assessorati regionali all’identità. Il Veneto è stato uno dei primi e uno potrebbe chiedersi cosa ha in comune uno di Chioggia con uno di Cortina d’Ampezzo e lo stesso si potrebbe dire per un triestino e un’abitante della Carnia. Per non parlare della celebre “razza Piave” di gentiliniana memoria.

Certo, l’Italia ha un’identità timida, ma perché dovrebbe essere vincente quella regionale? Se proprio vogliamo identificarci con un territorio a cui siamo vicini, allora proponiamo le province, messe in rete e comunque dipendenti da un governo centrale. Le Province, inoltre, ricordano più l’Italia dei Comuni di antica memoria, quella fatta di piccole imprese, che funzionano perché legate a un territorio in modo reale e sano e non sulla base di costruzioni strumentali solo a guadagnare qualche voto, solo perché in contrapposizione con lo Stato.

Le Eegioni, per come sono concepite adesso, sono delle simulazioni dello Stato, si vuole imitare un sistema federale che non esiste. Servono solo a limitare gli orizzonti e ad aumentare i costi: la frammentazione delle ferrovie, della sanità e della scuola ne sono gli esempi più lampanti. Ciascuno vuole ritagliarsi un pezzo di potere in nome della sua “specificità”. Si gioca a chi è più diverso, solo per ottenere qualche vantaggio in più. Quando impareremo a crescere e a pensare un pochino più in grande?

Articolo Precedente

Fca, “gruppo con interessi economici e editore di due giornali. Come Berlusconi e Caltagirone”. L’editoriale di Gomez a Sono le Venti (Nove)

next
Articolo Successivo

Coronavirus, Sileri a Sono le Venti (Nove): “A De Luca nessun ‘cerino in mano’ su riaperture, è fase di transizione e servono scelte on demand”

next