“La logica correntizia è un’ignominia che prima si abolisce e meglio è”. A dichiararlo, in un’intervista all’Adnkronos, è Alfonso Sabella, giudice del Tribunale del Riesame di Napoli, a proposito delle dimissioni di Fulvio Baldi, capo di Gabinetto del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che ha lasciato l’incarico giovedì subito dopo la pubblicazione sul Fatto Quotidiano di nuovi stralci di intercettazioni, agli atti dell’inchiesta di Perugia, in cui si riferisce di una conversazione tra Luca Palamara, ex consigliere del Csm e pm romano ora sospeso, e lo stesso Baldi, estraneo alle indagini.

“Io sono uno dei pochissimi magistrati che ha un minimo di notorietà, forse l’unico, che non fa parte della magistratura associata – ha continuato Sabella – Il problema è che in questo sono isolatissimo, ma tutto ciò abbassa notevolmente il nostro livello etico. Io parto dal presupposto che il livello etico della magistratura deve essere elevatissimo e invece, purtroppo, il sistema correntizio e questa logica incomprensibile che lega il Csm alle correnti determina una perdita di etica e una perdita di credibilità da parte della magistratura. Io sono un sostenitore della superiorità etica del magistrato, nel senso che nel momento in cui tu magistrato sei chiamato a giudicare altri esseri umani, devi essere eticamente inattaccabile. E purtroppo non è così”.

Secondo il magistrato, però, questo meccanismo è ormai stato smascherato e adesso la categoria deve fare i conti con questa nuova realtà: “Continuiamo a mettere la polvere sotto il tappeto, senza capire che ormai, anche se quando l’ho detto una volta a Marsala i miei colleghi hanno smesso di rivolgermi la parola, il Re è nudo e non possiamo più tirare la corda. È assolutamente indispensabile sciogliere le correnti o comunque, se si vogliono lasciare in vita, trovare un meccanismo affinché non condizionino il Csm”.

In riferimento a questa sua valutazione, il giudice si dice in disaccordo, ad esempio, con Piercamillo Davigo: “Mi dispiace dissentire da una persona che stimo tantissimo, che è il mio collega Davigo, là dove dice che la differenza fra politica e magistratura è che la magistratura è scelta per competenza e la politica per rappresentatività. Davigo dice una cosa assolutamente non vera perché è lo stesso anche per noi, anche noi siamo scelti per rappresentatività e non per competenza”. Ciò che emerge dall’inchiesta di Perugia, dunque, “è una cosa saputa e risaputa e che, posso dire la verità, sfortunatamente ha beccato Unicost e qualcuno legato a quelle correnti, perché se le stesse operazioni fossero state fatte su altri versanti ‘politici’ sarebbero emerse le stesse cose. Lo sappiamo tutti”.

È proprio questo modus operandi che, negli anni, ha convinto il magistrato a non fare domande “per incarichi direttivi o semidirettivi, perché per farle dovrei andare a prostituirmi a qualche corrente. Preferisco mantenere la mia autonomia e la mia indipendenza, anche dagli stessi colleghi. Mi dispiace ma in questo sono brutale, non ho peli sulla lingua. Non faccio domande, morirò giudice di primo grado. Può sembrare che io abbia il dente avvelenato, ma non è così. Quando una volta feci una domanda per la Procura nazionale antimafia, io ero il magistrato che aveva ottenuto il maggior numero di ergastoli, che aveva arrestato il maggior numero di latitanti, sequestrato il maggior numero di arsenali, determinato il maggior numero di processi con sentenze definitive, eppure la mia domanda non fu nemmeno valutata, non è che dissero che c’era qualcuno migliore di me, l’hanno proprio cestinata, perché io non ho mai alzato il telefono”.

Infine, sempre a proposito dell’ormai ex capo di Gabinetto di Bonafede, Sabella chiosa: “Ecco, noi vogliamo fare politica ma non abbiamo il pelo sullo stomaco che hanno i politici, e facciamo peggio. Il politico, che sa benissimo come si fa la lottizzazione, si comporta in maniera molto più furba, noi non abbiamo nemmeno questa furbizia. Il politico è più scafato“.

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