Ho sempre creduto che abbracciare fosse un’emozione, ma ai tempi del Covid19, scopro che non abbracciare può essere un’emozione ancor più grande. Abituati al contatto fisico, tanto da darlo per scontato, il virus ha ribaltato le nostre più intime abitudini, privandoci di una delle cose più belle, la spontaneità, quel qualcosa che nasce dall’intimo senza essere dotato di freni e che invece ora siamo obbligati a frenare e incatenare subito dopo.

E’ una sensazione alienante vedere le persone che si incrociano per strada e, senza pensarci, adottano il distanziamento necessario tra slalom e deviazioni, tutti uniti nel sentirsi divisi. Siamo costretti, dalle autorità, dal buon senso, dalla voglia di aiutare seguendo le regole, questo non significa privarci di ammettere il costo collettivo e soggettivo del confinamento.

Qualcuno poi dovrebbe spiegare ai media che abbiamo una lingua, l’italiano, che è bellissima e ha vocaboli sempre pronti all’uso, per cui sostituire termini come confinamento, corridore e comitato di esperti con lockdown, runner e task force ci allontana da un sentire comune nazionale e implica una de-valorizzazione della nostra lingua che non ha motivo di esistere, se non nella svendita di noi come popolo e storia in pasto a una collettività globale dove i più forti, senza patria e radici, si approfittano dei più deboli e ce lo spacciano come legittimo e inevitabile. Non siamo più fighi se usiamo l’inglese, siamo solo meno italiani.

Dal distanziamento sociale alla frammentazione individuale sembra ormai esserci meno di un metro. Chi è solo brama compagnia e chi è in compagnia brama solitudine, tante sono le inversioni, i paradossi e i contrasti che il Covid19 ha creato e potrebbe ancora creare e, al momento, sicuramente la nostra visuale è parziale.

Dopo il trauma avviene un momento di elaborazione per consentire la sopravvivenza, ma, a mio avviso, siamo ancora nella fase traumatica. Per la fase 2 del nostro territorio mentale non esiste consiglio di esperti capace di far adottare strategie e comportamenti comuni e salvifici. Staremo semplicemente a vedere quel che accadrà e ci faremo i conti nel momento in cui accadrà.

Nel mondo post Covid19, le diagnosi di natura psicologica o psichiatrica potrebbero essere fatte ufficialmente online grazie ai profili Facebook. La curva del confinamento delle menti segue, quando non supera, la curva del confinamento dei corpi. Se c’è una cosa che i social network mettono in evidenza è che non esiste pensiero privo di critica, ma solo critica priva di pensiero.

Già in molti hanno cessato di ripetere ossessivamente “andrà tutto bene”, un legittimo o quantomeno comprensibile, anche quando non condivisibile, tentativo di nutrire la speranza non è stato altro che un palliativo per andare incontro a una realtà che non è come la vorremmo e forse meritiamo per il solo fatto di esistere.

Illudersi di avere il controllo mentre si vive l’impotenza è stata una strategia di sopravvivenza per più di qualcuno, ma si va esaurendo, bisogna sopravvivere con altri mezzi e quindi pensare diversamente, aprirsi al dubbio e al dolore e alla rabbia che ne possono derivare per non soccombervi in un secondo momento.

Continuo a credere nell’essere umano, lui che può essere globale, non i mercati e i poteri vari con le varie rappresentazioni politiche; globale nel senso di essere intimamente legato alla natura intera e che questa tende all’equilibrio: per quanto altre forze la contrastino, ne uscirà vincitrice senza chiederci il permesso. Questo sì che vorrei autocertificarlo.

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