Le residenze per anziani in Spagna sono stati veri e propri focolai del contagio, ma vista la mancanza di test effettuati a tappeto nelle 5.457 strutture presenti in Spagna finora è stato impossibile confermare il numero di vittime che il coronavirus ha fatto. Stando ai numeri che sono stati ufficializzati dalle singole Comunità Autonome, secondo la RTVE, la Corporazione di Radio e Televisione Spagnola, le vittime sono più di 15mila. La maggior parte dei decessi si è registrato nelle comunità di Madrid, della Catalogna, della Castiglia e León e di Castiglia-La Mancha. Si tratterebbe quindi del 68% del totale delle vittime del coronavirus comunicato dal ministero della Sanità.

Il governo ancora non ha ufficializzato i dati “globali” e quelli che circolano sono quelli che vengono raccolti di residenza in residenza, contando sia le cliniche per anziani che le cliniche per persone con disabilità e ci sono ancora delle Comunità autonome che non hanno pubblicato i dati inerenti alle cliniche sul loro territorio.

La situazione è molto caotica: le Comunità hanno diverse modalità di contare le vittime e, soprattutto, non stanno obbedendo al decreto del 23 marzo che le obbligherebbe a comunicare i dati ufficiali. In Andalusia, per esempio, riportano quotidianamente i casi confermati grazie al test, mentre in Extemadura e Catalogna invece vengono inclusi anche i morti con sintomi compatibili (senza aver fatto il test pre-mortem). Poi ci sono anche altre Comunità, come Aragona, Castiglia e León, dove si registrano i dati in maniera globale, includendo anche i dati dei centri di servizi sociali, senza fare distinzioni.

La ministra della Difesa, Margarita Robles, ha fatto aprire dalla magistratura nazionale diverse indagini per far luce sulla tragica situazione che l’Esercito aveva scoperto in alcune residenze sotto inchiesta. Le indagini sono iniziate a causa delle situazioni estreme e insalubri in cui sono stati trovati diversi anziani – alcuni di loro morti e abbandonati nei loro letti – e le inchiesta vengono portate avanti in maniera “implacabile e decisa”, ha dichiarato la ministra in televisione, prima che le indagini nazionali venissero affidate alle magistrature di ogni Comunità coinvolta.

Ma, al momento, quali sono le situazioni in cui devono lavorare gli operatori delle residenze, a contatto giorno e notte con gli anziani? Il segretario generale della Federazione della Sanità e dei Settori Sociosanitari delle Commissioni Operaie, la più importante centrale sindacale spagnola, nonché la prima per numeri di iscritti e delegati, Antonio Cabrera, contattato da ilfattoquotidiano.it, ha spiegato che “il settore delle residenze per gli anziani si distingue per l’assenza di trasparenza nell’informazione, con situazioni molto differenti a seconda della Comunità Autonoma di cui parliamo”.

Secondo i dati delle Commissioni Operaie è in Navarra che ci si sta attenendo maggiormente al protocollo, sotto la direzione del Servizio di Salute. I lavoratori e le lavoratrici hanno a disposizione il materiale necessario per la protezione individuale e si stanno sottoponendo ai test per individuare chi ha contratto il virus e chi no. “In generale le informazioni sono piuttosto scarse, continuano a esserci molti problemi con la fornitura del materiale protettivo, con la carenza di personale, soprattutto sanitario, e continuano a esserci molti contagi”, spiega ancora Cabrera. Stando ai dati raccolti alla Federazione di Sanità e dei Settori Sociosanitari, al 14 aprile, “i professionisti contagiati erano 1.547, in 7 comunità”.

In merito alle misure adottate dal governo e a quanto siano state effettivamente efficaci, il segretario continua affermando che “lo scorso 20 marzo, dal CCOO, abbiamo inviato una lettera al ministro della Sanità, Salvador Illa, nella quale abbiamo denunciato sia la mancanza del materiale di protezione del personale che lavora nel settore, sia la necessità di coordinamento dei servizi sociali e sanitari attraverso l’autorità sanitaria competente per decidere, di residenza in residenza, le procedure necessarie”. Non solo: “Gli abbiamo anche richiesto in maniera urgente che i centri venissero riforniti di materiali protettivi sia per i lavoratori che per i pazienti, così come la somministrazione a tappeto dei test del Covid”.

Ma nonostante la pubblicazione del decreto grazie al quale si stabiliscono le misure complementari di carattere organizzativo, risalente al 23 marzo, secondo Cabrera, “continua a esserci poca chiarezza, a mancare il materiale di protezione e non si stanno facendo i test al personale, così come non si stanno riorganizzando le residenze per anziani, salvo rare eccezioni”.

Il segretario sottolinea poi come “un’altra causa che spiega la situazione caotica è anche la mancanza di professionisti del settore. Stiamo parlando di un settore in cui i lavoratori sono in prevalenza donne, con delle moli di lavoro enormi, con rischi altissimi di lesioni muscolari e scheletriche e con salari bassi: non è certo un settore dove sia facile trovare professionisti pronti a scendere in campo in casi di emergenza”.

Conclude poi sottolineando quanto il tempismo non sia stato una caratteristica delle azioni di contenimento del contagio: “Pensiamo che si sia arrivati troppo tardi a notificare i contagi; per questo dicevamo che ha avuto un peso fondamentale la decisione di far gestire le misure direttamente ai Servizi Sanitari di ogni Comunità Autonoma”. Una scelta che, secondo Cabrera, “ha permesso una migliore organizzazione, con mezzi di protezione adeguati e i test a cui sono stati sottoposti i lavoratori: dove è stato possibile fare questo si sono ridotti di molto i numeri delle persone contagiate e su questo i numeri, fortunatamente, non mentono”.

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