Attualità

La lettera d’addio di un nonno ricoverato in un rsa è un ‘simbolo’: “Più del coronavirus uccide la mancanza di rispetto verso gli altri”

La lettera, pubblicata sul sito interris.it e letta anche durante il TgLa7, è comparsa sulle bacheche di molte pagine social. Perché per la prima volta si possono associare parole e sentimenti a quei numeri che ogni sera sentiamo leggere. Un marito, un papà, un nonno

di F. Q.

La lucidità, la compostezza e la rassegnazione senza accessi di sentimentalismo con la quale ha scritto una lettera che probabilmente diventerà un simbolo della pandemia di covid-19 che ha portato via una generazione di anziani. La lettera, pubblicata sul sito interris.it e letta anche durante il TgLa7, è comparsa sulle bacheche di molte pagine social. Perché per la prima volta si possono associare parole e sentimenti a quei numeri che ogni sera sentiamo leggere. Un marito, un papà, un nonno. “Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti. (l’ho consegnata di nascosto a Suor Chiara nella speranza che dopo la mia morte possiate leggerla). Comprendo di non avere più tanti giorni, dal mio respiro sento che mi resta solo questa esile mano a stringere una penna ricevuta per grazia da una giovane donna che ha la tua età Elisa mia cara“. Inizia così, rivolgendosi forse alla nipote. Di lui si sa l’età, 85 anni e a quanto riporta il Messaggero probabilmente era un avvocato. “È l’unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso ma da quando porta anche lei la mascherina riesco solo a intravedere un po’ di luce dai suoi occhi; uno sguardo diverso da quello delle altre assistenti che neanche ti salutano. Non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere su dispiacere sapendo quanto avrete sofferto nel lasciarmi dentro questa bella prigione. Sembra infatti che non manchi niente ma non è così…manca la cosa più importante, la vostra carezza, il sentirmi chiedere tante volte al giorno “come stai nonno?”, gli abbracci e i tanti baci, le urla della mamma che fate dannare e poi quel mio finto dolore per spostare l’attenzione e far dimenticare tutto. In questi mesi mi è mancato l’odore della mia casa, il vostro profumo, i sorrisi, raccontarvi le mie storie e persino le tante discussioni. Questo è vivere, è stare in famiglia, con le persone che si amano e sentirsi voluti bene e voi me ne avete voluto così tanto non facendomi sentire solo dopo la morte di quella donna con la quale ho vissuto per 60 anni insieme, sempre insieme. Non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine, ci sono anche alcune persone educate ma poi di fatto noi siamo solo dei numeri, per me è stato come entrare già in una cella frigorifera. In questi mesi mi sono anche chiesto più volte: ma quelli perché hanno scelto questo lavoro se poi sono sempre nervosi, scorbutici, cattivi? Una volta quell’uomo delle pulizie mi disse all’orecchio: «Sai perché quella quando parla ti urla? Perché racconta sempre di quanto era violento suo padre, una così con quali occhi può guardare un uomo?». Che Dio abbia pietà di lei. Ma allora perché fa questo lavoro?“.

E poi la conclusione che lascia senza parole, inutile commentare: “Vorrei che sappiate tutti che per me non dovrebbero esistere le case di riposo, le rsa, le prigioni dorate e quindi, si, ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro…l’altro giorno l’infermiera mi ha già preannunciato che se peggioro forse mi intuberanno o forse no… Sai Michelina, la barba me la tagliavano solo quando sapevano che stavate arrivando e così il cambio. Ma non fate nulla vi prego… non cerco la giustizia terrena, spesso anche questa è stata così deludente e infelice. Fate sapere però ai miei nipoti (e ai tanti figli e nipoti) che prima del coronavirus c’è un’altra cosa ancora più grave che uccide: l’assenza del più minimo rispetto per l’altro, l’incoscienza più totale. E noi, i vecchi, chiamati con un numeretto, quando non ci saremo più, continueremo da lassù a bussare dal cielo a quelle coscienze che ci hanno gravemente offeso affinché si risveglino, cambino rotta, prima che venga fatto a loro ciò che è stato fatto a noi”.

La lettera d’addio di un nonno ricoverato in un rsa è un ‘simbolo’: “Più del coronavirus uccide la mancanza di rispetto verso gli altri”
Precedente
Precedente
Successivo
Successivo

I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.