Mentre ancora si contano quotidianamente il numero dei morti e dei contagiati a causa del Coronavirus l’Italia si proietta oltre il 3 maggio, termine dopo il quale – se i numeri dei contagi continueranno ad essere confortanti come a momenti sembra – qualche impresa potrà riaprire e pian piano si potrà tornale alla normalità, o quasi. Perché ormai, anche se ognuno è chiuso dentro la propria casa, in attesa che tutto passi, quel che fa davvero più paura è la crisi economica, l’incertezza del futuro per molti, specie per le piccole e medio imprese. Molti piccoli imprenditori seguono con cinismo e disinteresse la partita che l’Italia si sta giocando con l’Europa e ancor meno la questione Mes. Ciò che si cerca di capire nell’immediatezza è cosa ha fatto il governo italiano per i suoi cittadini.

In Italia, nonostante la chiusura di quasi tutte le attività sull’intero territorio nazionale decisa l’11 marzo scorso, in ritardo rispetto alla diffusione del virus, il governo ha agito con un primo decreto che ha sospeso alcuni mutui, ha agevolato il pagamento degli affitti con un credito d’imposta al 60 per cento e rinviato la contabilità, le tasse, fino a un anno. Tuttavia, diversi titolari di attività commerciali hanno comunque dovuto anticipare le spese del canone d’affitto, hanno pagato tutte le bollette nonché qualunque debito con la banca. Poi, per aiutare queste persone è stato detto che sarebbero stati dati 600 euro a chi ha chiuso la propria attività, agli autonomi iscritti alla gestione separata e a tutta una serie di persone che ne avevano i requisiti. Questi soldi stanno arrivando nelle tasche degli italiani aventi diritto solo in questi giorni. Misure poco coraggiose.

E così in molti hanno tirato un sospiro di sollievo solo quando a più riprese è stato annunciato il decreto Cura Italia: più liquidità per tutti, soldi nelle tasche dei cittadini che hanno dovuto chiudere la propria attività e che così potranno ripartire una volta finita l’emergenza. Ma leggendo bene il decreto ci si accorge che anche in questo caso c’è la fregatura. Perché lo Stato chiede l’intermediazione delle banche che possono tranquillamente decidere di non dare questi soldi a chi per esempio ha pagato in ritardo la rata di qualche prestito oppure è stato segnalato e si trova nell’elenco dei cattivi pagatori. Problemi che non ci siamo fatti per gli evasori fiscali, per chi lavora a nero. Giustamente nell’emergenza tutti devono mangiare. Ma perché il discorso non vale anche per tutte le imprese?

Nei giorni scorsi sono stati molti gli appelli lanciati da chi si occupa di antimafia. Il capo della Polizia, Franco Gabrielli, l’ha spiegato bene, facendo riferimento a un welfare che la mafia potrebbe assicurare a chi sarà in difficoltà economiche. La mafia ha sempre investito anche su settori di prima necessità, dalla filiera agroalimentare, al trasporto su gomma, dai servizi funebri alle imprese di pulizia e smaltimento dei rifiuti. Tutti settori attivi anche in questa fase di coronavirus. Il rischio, per Gabrielli, è che “la minaccia mafiosa possa esplodere con una forza inedita”, soprattutto perché già è pronta a sostenere una eventuale crisi economica. Le grandi e piccole imprese in difficoltà, qualora non riescano a prendere altri soldi in prestito dalle banche a chi si rivolgeranno, soprattutto al Sud? Alla mafia. Che per Gabrielli riuscirebbe così a infiltrarsi in settori nuovi, anche attraverso prestiti usurai.

La minaccia mafiosa rimane l’unica costante emergenza in questo Paese. Il governo ha la possibilità di limitare questo rischio di maggiore penetrazione nell’economia. Dopo sarà tardi. Un padre di famiglia dovrà comunque garantire un piatto di pasta al proprio figlio. So bene che non è facile gestire una emergenza come quella che stiamo vivendo, non c’è una ricetta e non so nemmeno dire se altri avrebbero fatto meglio di quel che sta facendo il premier Giuseppe Conte. Tuttavia, non sembra sufficiente.

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