Tra i tanti effetti della pandemia spicca il fiorire di inaspettate tendenze ecumeniche e para-messianiche in tanti colleghi. C’è in giro un pullulare di promesse di un tempo nuovo improntato all’amore universale, dichiarazioni di fiducia in una fratellanza ritrovata, certezze di un orizzonte di rinnovata bontà che pervaderà gli animi nel dopo Covid.

Mi chiedo come possa, chi fa il mio mestiere, davvero solo immaginare che da una crisi possa scaturire il bene assoluto quando la storia ci insegna che le crisi, comprese quelle pandemiche, come una lama allargano ancor di più il solco tra gli uomini retti e chi vive a cavallo della legge. Tra probi cittadini e scaltri opportunisti. Non è un caso che tra le categorie sdoganate da questo tempo cupo ci sia quella del cittadino controllante.

Là fuori, specie nei social, le luci della ribalta illuminano le gesta di individui intimamente sadici, votati alla pruriginosa passione del controllo altrui, da sempre in cerca di una causa alla quale appaltare i loro servigi. Questo fenomeno, preconizzato da Orwell quando tratteggiava i sudditi del Socing che segnalavano al Grande fratello i vicini di casa incorsi nello psicoreato, si impose al tempo del Ventennio quando venivano premiati i delatori che segnalavano all’Ovra la presenza di ebrei. Ma il fascismo e lo stato orwelliano erano il ‘male’.

Oggi, dietro e dentro ad un significante ben più nobile e giusto, arrestare la pandemia, si nasconde ben alloggiata la passione scopica di tanti ligi àscari tesi a scrutare con odio le esistenze degli altri, per lo più fatte di quel flusso vitale non addomesticabile che da sempre suscita in essi livida rabbia e desideri segregativi. Una rabbia che nel corso della vita quotidiana devono tacere, perché nel biasimare un ciclista o un podista che si allena, un ragazzino dietro ad un albero, non sortirebbero altro effetto se non quello di risultare sgradevoli e malmostosi.

Ma oggi che l’Altro ha fornito loro una causa nobile dietro la quale paludarsi, questi neo guardiani del bene possono sbucare fuori dai loro pertugi e offrire la loro prestazione. Ecco dunque la natura intrinseca quel gruppo di dieci, venti uomini del sottosuolo membri del gruppo “Sei di pincopallo se…” che infestano le piazze virtuali con foto rubate a corridori, uomini col cane, maratoneti con le cuffie.

Si passano le segnalazioni e si rimbalzano le loro foto in un godimento infinito e vertiginoso, liberi finalmente di svuotare tutto il contenuto del tablet, gonfio di istantanee di gente viva che prima non sopportavano in un orizzonte di delazione di massa che ricorda gli scenari di Philip Dick. In questo lungo periodo di cenere trascorrono le loro giornate dietro la tendina, col fido telefono e teleobiettivo in cerca di prede da sorvegliare e punire, in una lussuriosa caccia al deviante.

Che dire poi della scoperta generalizzata dei buoni? Non c’è in realtà bisogno dell’emergenza per capire la grana di certe persone. Giuseppe (nome di fantasia) non deve rientrare a casa. Il vigile lo sa, e lo fa continuare a camminare nel bosco. Giuseppe è pazzo, in città è conosciuto e benvoluto da tutti. Se si applicasse a lui la legge rigida di questo tempo, si scompenserebbe. Io l’ho sempre saputo che quel vigile è una brava persona, che non lo avrebbe né fermato né multato, ma riaccompagnato a casa.

Mario, cardiologo, altro nome di fantasia, ha salvato la vita all’anziana signora davanti a casa, portandola in ospedale con la sua auto. Erano note le storie di questi ordinari eroi sottotraccia anche prima della pandemia, la loro abnegazione, il loro valore. Non solo adesso che sono in trincea. Non c’era bisogno del Covid per accorgersi di quei medici, quegli infermieri, quei manovali della flebo che stavano accanto agli infermi. Quelle dottoresse duramente provate dal sonno che si davano un tono per parlarti ed erudirti sul decorso del tuo caro anche se distrutte. Quel rianimatore che la mattina dopo ti richiamava, scusandosi se la stanchezza la notte prima lo aveva vinto.

Le differenze sono note, basta guardare bene. Ho visto tanti commuoversi quando Francesco chiedeva a Dio di non abbandonarci, ma non li ricordo versare lacrime quando il pazzo, il pezzente, lo sfrattato chiedevano la stessa cosa prima della pandemia, e ottenevano il disprezzo di chi oggi è rimasto incollato allo schermo la sera del silenzio.

Non usciremo migliori da questa tragedia. Ne usciremo disincantati. Forzatamente abbiamo montato quelli lenti fatte di cinismo che è andato oltre gli orpelli delle buone maniere, dei come va e del ‘ti saluto cordialmente’. La pasta degli uomini appare oggi per quello che è, dopo i paludamenti del tempo dell’abbondanza. Di certo non avremo più scuse, e avremo riconosciuto le canaglie per quello che sono, gli uomini per quello che sono. Sarà la fine delle smancerie, fatto salvo per coloro i quali ne hanno bisogno per sopravvivere. Per alcuni nulla cambierà. All’osso andavano prima, e lì continueranno a puntare.

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