di Roberto Iannuzzi*

La crisi determinata dalla pandemia da Covid-19 è destinata ad avere effetti più pesanti di quella del 2008. Le ragioni sono molteplici, e non solo di natura economica, ma anche geopolitica. Innanzitutto lo shock economico sarà maggiore, e non solo in termini di caduta percentuale del Pil (già adesso in Europa si stimano perdite che si aggirerebbero intorno al 10% su base annua). Non è questione, infatti, di meri punti percentuali, ma di una differenza sostanziale nella natura dello shock.

Il tracollo del 2008 fu finanziario, e i suoi effetti si riversarono sull’economia reale che però, pur con una notevole crisi del credito, continuò a funzionare. In questo caso, invece, ci troviamo di fronte a un vero e proprio arresto (seppure non totale), provocato dallo stop delle attività produttive e da un crollo dei consumi determinato dal confinamento a casa delle persone. Questo arresto si sta verificando progressivamente su scala globale, da est a ovest, seguendo la diffusione del virus.

Abbiamo dunque già assistito, e continueremo ad assistere, a un intervento degli Stati a sostegno dell’economia che non ha precedenti in una storia recente finora incentrata su un modello neoliberista che aveva ridotto lo Stato a mero accessorio. Ma c’è di più, perché molti paesi stanno reagendo alla pandemia con la chiusura delle frontiere, l’interruzione dei voli e il blocco degli spostamenti interni. Ciò ha mandato in tilt le catene di fornitura internazionali che rappresentano i gangli vitali della globalizzazione, mettendone a nudo la fragilità.

Tuttavia, sotto tale profilo, e più in generale sotto il profilo geopolitico globale, bisogna sottolineare che il Covid-19 non va considerato come causa della crisi attuale, ma piuttosto come potentissimo catalizzatore e acceleratore di una crisi già in atto, e originariamente messa in moto proprio dagli eventi del 2008.

Furono quegli eventi a segnare il tracollo del modello neoliberista globalizzato – con i cui strascichi abbiamo fatto i conti fino a oggi – mettendo per la prima volta in discussione la leadership mondiale americana. Essi furono all’origine anche dell’emergenza del debito sovrano degli alleati europei, che accelerò le tendenze centrifughe nel vecchio continente. In una sorta di gigantesco effetto domino, i problemi economici dei paesi ricchi del vecchio continente facilitarono poi la crisi dei regimi arabi, esportatori di materie prime e semilavorati, contribuendo allo scoppio delle rivolte del 2011 e ai conflitti che ne sono seguiti.

Questi sviluppi portarono anche all’aumento delle tensioni fra Washington da una parte, e l’ascendente Cina e la rientrante Russia dall’altra. Il rifiuto della globalizzazione, l’ascesa dei “sovranismi” e la crisi interna americana favorirono la vittoria presidenziale di Donald Trump, che diede avvio alla guerra dei dazi. Incidendo su questo panorama internazionale deteriorato, il Covid-19 rischia di accelerare le derive in atto, lasciando un’impronta ancora più profonda.

Esso ha messo a nudo la totale impreparazione del mondo globalizzato di fronte a una pandemia che proprio l’interconnessione senza precedenti della globalizzazione ha reso così fulminea. E ha ribadito ulteriormente il declino della leadership statunitense, inesistente in particolare nei confronti dei propri alleati in difficoltà, mentre gli aiuti cinesi e russi (e cubani!) giungevano nell’Italia martoriata e altrove nel mondo.

Al contrario, per amara ironia della sorte, gli Stati Uniti sono divenuti il nuovo epicentro mondiale dell’epidemia, e rischiano di pagare costi umani e sociali elevatissimi. Nonostante ciò, Washington si è ostinata finora a portare avanti un’odiosa politica delle sanzioni nei confronti dei suoi avversari, dall’Iran al Venezuela, con il rischio di trasformare l’infezione da Covid-19 in una catastrofe umanitaria in questi paesi e nelle regioni limitrofe.

L’Europa, dal canto suo, non si trova in una situazione migliore. Il dilagare del virus ha fatto ancora una volta emergere la frammentazione europea e l’inadeguatezza delle istituzioni dell’Eurozona. Sia la fine dell’euro che una mutualizzazione del debito a livello europeo diventano in teoria scenari plausibili, ma più probabilmente si giungerà a una soluzione compromissoria nel tentativo di mantenere in vita un’Eurozona disfunzionale.

Più in generale, però, è la flebile risposta di istituzioni internazionali come il G-20, che ebbero un ruolo determinante nel contenere gli effetti della crisi del 2008, a dare un’idea dello sfilacciamento dell’attuale governance globale, facendo temere che non vi sarà una risposta coordinata allo shock economico provocato dalla pandemia. E possiamo solo vagamente immaginare quali saranno gli effetti quando l’infezione raggiungerà luoghi sovraffollati e privi di strutture sanitarie come i campi profughi in Grecia, Siria, Gaza, e altrove in Medio Oriente e nel mondo, mentre una precipitosa fuga di capitali lascia presagire una formidabile emergenza economica nei paesi emergenti.

L’unica certezza è che da qui a qualche anno il volto del pianeta, e i suoi assetti geopolitici, saranno mutati per sempre.

* Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017)

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