Cinema

La ragazza d’autunno, il prodigioso racconto che ha meritato di entrare nella shortlist degli Oscar 2020 ed è stato premiato a Cannes

Opera radicale e dirompente che narra la storia di una giovane infermiera alle prese con le rovine materiali e spirituali della Leningrado post assedio e che sancisce la conferma dello sguardo straordinario del regista Kantemir Balagov, discepolo di Alexandr Sokurov

di Anna Maria Pasetti

Ha vinto molto eppure ancora troppo poco il prodigioso La ragazza d’autunno, opera seconda del giovane Kantemir Balagov, un 28enne dal talento assoluto e non a caso discepolo e pupillo del grande Alexandr Sokurov. Presentato a Cannes in Un Certain Regard – dove si è meritato il riconoscimento alla regia – e presente nella shortlist tra i film “internazionali” ai prossimi Oscar, il film in originale titola Dylda ovvero “spilungona” o “giraffa”, raccontando la storia di una giovane infermiera assai alta alle prese con le rovine materiali e spirituali della Leningrado post assedio. Siamo infatti nel 1945, sopravvivere è ancora la parola chiave di chi è scampato allo strazio bellico, ma il prezzo da pagare è altissimo, da ogni punto di vista lo si osservi. Iya, questo è il nome della “giraffa”, e la sua amica Masha rappresentano due approcci diversi a tale battaglia quotidiana, una lotta all’ultima briciola, una guerra fra miserabili pronti al compromesso più meschino pur di continuare a sperare, e a dare un senso a ciò che è rimasto. Opera radicale e dirompente per come informa i dettagli raramente raccontati di una tragedia maiuscola, sancisce la conferma dello sguardo straordinario di questo cineasta, dopo il suo altrettanto formidabile esordio del 2017 a soli 26 anni – Tesnota– anch’esso selezionato a Un Certain Regard sulla Croisette.

Seppur La ragazza d’autunno si ispiri a un testo letterario (La guerra non ha un volto di donna della scrittrice bielorussa Svetlana Alexievich, Premio Nobel nel 2015) ciò che Balagov ha compiuto è un’elaborazione totalmente originale e squisitamente cinematografica. La sua “materia” infatti, è più nella forma che nei contenuti, per quanto questi siano di primissimo piano e perfetti al dibattere sul trauma subito dagli assediati dell’odierna San Pietroburgo. Ciò che vuole veicolare il regista al suo spettatore non si lega tanto ai fatti in sé, quanto alle loro conseguenze talvolta visibili e tangibili, altre volte e più frequentemente rilasciati al fuori campo, non per ultimo nei silenzi, nelle dilatazioni fra domande e risposte lungo i dialoghi, nelle scelte apparentemente estetiche degli accostamenti cromatici, ed infine nei perdurati primi (se non primissimi) piani sui corpi, volti, oggetti, sensazioni ed emozioni. Se la composizione inquadrata rimanda costantemente all’arte pittorica (non è un caso ci muoviamo nei territori di Sokurov…), il senso profondo dell’intera operazione si lega indissolubilmente al mondo femminile, rimasto sospeso senza il Tempo e lo Spazio, orfano e infecondo, sintomo della tentazione a disperare che – suo malgrado – ha ancora qualcosa a cui aggrapparsi.

Quasi superfluo sottolineare quanto il film di questo giovane russo implichi una visione attenta ed impegnativa: ma è proprio questo a renderla necessaria e carica di soddisfazione, specie in settimane in cui l’offerta cinematografica risente del disimpegno natalizio. Da cercare nei migliori cinema dal 9 gennaio.

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