“Gli zingari sono nomadi”; “Gli zingari non hanno mai fatto la guerra”; “Gli zingari detestano il lavoro”; “Gli zingari rubano i bambini”. Sono alcuni dei luoghi comuni che accompagnano la presenza di comunità rom in tutto il Paese. Luoghi comuni che danno forma a leggende metropolitane condite spesso da particolari dove la narrazione si perde nel buio di angoli urbani remoti e pericolosi. I racconti scorrono di persona in persona, di generazione in generazione, nelle pagine dei giornali, nelle canzoni e nei film. Penetrano nella testa, nel sangue, nel latte materno, per impregnare la mente e consolidare certezze ataviche. Ci si convince senza mai aver fatto esperienza. È così, perché sicuramente è così. E questo basta.

Quella del nomadismo è la “bufala” che più delle altre ha impattato nelle politiche pubbliche visto che negli anni Novanta, con l’arrivo di richiedenti asilo da una Jugoslavia devastata dalla guerra civile, qualcuno decise di chiamare quei profughi in fuga dalla guerra “nomadi”, culturalmente incapaci e inadatti a vivere in appartamenti comuni. La prima vittima di questo abbaglio fu la sinistra che nelle diverse regioni dove governava decise, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, di legiferare leggi regionali per la “tutela del nomadismo” predisponendo così, in ambito abitativo, la progettazione e la costruzione di “riserve” su base etnica denominate “campi nomadi”. Se sei un qualsiasi profugo – veniva detto – hai diritto ad un centro di accoglienza. Se sei uno zingaro “nomade” la tua casa è un container e il tuo condominio è il campo.

Non a caso l’Italia, grazie ad una ricerca del 2000 curata dall’European Roma Rights Centre, è stata da allora denominata “il Paese dei campi” in quanto nazione che, avendo deciso che i rom scappati dai Balcani erano nomadi, pensava di tutelarli chiudendoli in campi realizzati su base etnica. Nacquero a ruota in diversi Comuni gli “Uffici Nomadi”, i “programmi di scolarizzazione per bambini nomadi”, gli “esperti nomadi”, organizzazioni “nomadi”, la cui primogenitura va riconosciuta all’Opera Nomadi, a Roma in prima fila proprio per la costruzione dei moderni “villaggi” per cittadini sempre in viaggio.

Una vastissima letteratura scientifica ha dimostrato negli anni successivi che popolazioni nomadi in Italia non esistono e che rom presenti in Italia non sono affatto da considerarsi tali. Ce ne sono diversi, è vero, che in alcuni periodi dell’anno fanno ritorno nel loro Paese di origine. Non si capisce però perché non chiamarli più correttamente “lavoratori stagionali” invece di ostinarci ad utilizzare il termine “nomade”. Ci sono anche famiglie rom che giornalmente si spostano da un punto all’altro della città per motivi lavorativi e che, come per altri cittadini, sarebbe più opportuno chiamare semplicemente “pendolari”.

È però un documento ufficiale del governo italiano a chiarire definitivamente con la questione nel 2012. Si tratta della “Strategia nazionale per l’inclusione dei rom” che afferma a chiare lettere: “È ormai superata la vecchia concezione che associava a tali comunità l’esclusiva connotazione del “nomadismo”, termine superato sia da un punto di vista linguistico che culturale e che peraltro non fotografa la situazione attuale”. D’ora in avanti, verrebbe da dire, chi ancora crede che i rom siano “nomadi” è un ignorante o un disonesto.

Fece quindi sorridere la celebre frase di Giorgia Meloni quando in un comizio affermò: “Se sono nomadi devono ‘nomadare'” senza comprendere di chi e di quali nomadi stesse parlando. Le parole della Meloni vennero infatti annoverate come un emologismo, una frase senza senso e ad effetto che ha come obiettivo quello di veicolare un impatto emotivo, al di fuori di qualsiasi ragionamento complesso.

Suscita ancor più ilarità quanto avvenuto nei giorni scorsi, quando la Lega ha presentato nella Regione Piemonte un disegno di legge regionale con l’obiettivo di regolamentare il “nomadismo”. Nel primo capitolo viene dichiarato che la Regione Piemonte “riconosce il nomadismo e […] favorisce un corretto accesso ai servizi pubblici ed un efficace utilizzo di essi da parte delle popolazioni nomadi”.

I nomadi, cari politici dal salviniano pensiero, non esistono. Sono come le scie chimiche: lontane alla nostra testa ma terribilmente vicine alla parte più irrazionale del nostro cervello (quando decidiamo di farlo funzionare). Lo studio in questo può aiutare a comprendere meglio la realtà evitandoci di prendere lucciole per lanterne.

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