“Produrre magari meno ma almeno meglio”. Non è un’azienza e neanche una fabbrica. Sono invece gli obiettivi contenuti nelle linee guida di Claudio Castelli e Vittorio Masia, rispettivamente presidente della corte d’Appello e del Tribunale di Brescia. Un’iniziativa inedita quella dei due giudici, che gli uffici giudiziari e l’avvocatura hanno condiviso. A riportare la notizia è il Corriere della Sera.

In pratica si può riassumere così: nel distretto della corte d’appello di Brescia si dovranno celebrare processi a numero chiuso. Al massimo quattromila, 3.500 a Bergamo. 1.250 a Mantova, 1.150 a Cremona. E i calendari delle udienze verranno formati seguendo in proporzione tre “quote” di processi: quelli con “priorità legali“, stabilite da leggi in base al tipo di reato; quelli a “priorità convenzionali“, legati alle specificità socio-economiche del territorio, e poi quelli non prioritari, compresi quei reati la cui prescrizione èdestinata a maturare nei successivi 24 mesi. E quindi, in teoria, è possibile che a Brescia si preferisca far “morire” consapevolmente quei processi destinati a non essere celebrati in tempo.

Quella della corte d’appello lombarda – la seconda più grande dopo Milano, una delle più estese d’Italia – è la soluzione trovata dai giudici per combattere “un produttivismo senza qualità”: cioè l’ossessione di macinare statistiche, che produce però un numero inaccettabile di assoluzioni. Nel distretto bresciano, infatti, in primo grado quasi un processo su due finisce in assoluzione. Il motivo? La quantità di procedimenti istruiti dalle procure è esagerata rispetto alla capacità dei tribunali. E il risultato è che le prime udienze sono fissate tra 2021 e 2023. Per questo motivo adesso a Brescia hanno inventato il processo a numero chiuso. In attesa di una riforma della giustizia.

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