Un maxi-buco di 60 milioni di euro attorno ai giri d’affari di diverse società, usate come vasi comunicanti per coprire le falle di una gestione disinvolta, sotto l’occhio tollerante delle banche. Un susseguirsi vorticoso di passaggi da un contenitore all’altro, con cessione di rami d’azienda e trasferimenti finanziari milionari in una sorta di gioco delle tre carte che alla fine lasciava a mani vuote i creditori delle società ormai decotte, soprattutto quelle legate alle cliniche di famiglia, a vantaggio dell’operatore della sanità privata Kinetica, di cui Alberto Scanu, insieme alla sorella Laura, era il referente in Sardegna fino al 2014. E’ questo in sintesi il centro dell’inchiesta che ha portato all’arresto, sabato, l’ex presidente di Confindustria Sardegna e fino a ieri amministratore delegato di Sogaer, l’azienda di gestione dell’aeroporto di Cagliari. Un terremoto nel mondo dell’imprenditoria isolana.

La famiglia Scanu: dal mattone alla sanità
Scanu, che attende di essere sentito in carcere a Uta, si è dimesso da tutti gli incarichi, compresi quelli che lo vedevano legato a vario titolo ad una quindicina di società del Gruppo Scanu, una galassia multiforme nata dalle fornaci di mattoni del padre Giuseppe e poi estesasi al business immobiliare e soprattutto sanitario grazie ad Alberto. Per lui ora l’accusa è di bancarotta fraudolenta per distrazione di fondi o preferenziale o per ritardata dichiarazione di fallimento, in riferimento alle vicende di 10 società facenti parte del Gruppo su cui i curatori fallimentari avevano evidenziato la sussistenza di “atti lesivi del patrimonio” riconducibili alla loro gestione e reiterati nel tempo. Oltre a lui sono finite ai domiciliari tre persone fra cui la sorella Laura, amministratore delegato della società e moglie di Piergiorgio Massidda, ex deputato di Forza Italia e già presidente dell’Autorità Portuale di Cagliari. Tra gli indagati a piede libero ci sono anche Paolo Zapparoli, Pier Domenico Gallo, Caterina della Mora, già condannati in passato per il crac del 2013 della Clinica Città di Quartu: in quella vicenda giudiziaria finì anche Scanu che però fu prosciolto. Una storia che ritorna con analogie e con gli stessi protagonisti, a sei anni di distanza. Ma le cui origini sembrano risalire ancora più in là nel tempo, come sottolineano i magistrati.

“Nell’ambito delle indagini” scrive il gip Giampaolo Casula nell’ordinanza di custodia cautelare “è emerso che sin dal 1997 è stata posta in essere una sistematica e dolosa spoliazione delle componenti attive di varie società, in favore dei dominus Scanu Alberto e della sorella Laura, oltre che degli altri soggetti coinvolti”. Le società in questione sono la Polsan Srl, la Casa di cura privata Sant’Elena, l’Immobiliare Casa di Cura S.Elena Srl, la Compagnia immobiliare Sardegna, la Scancenter Srl, Sofinda Srl, San Pantaleo Srl e Sansucchi Srl, la Sgi Settimo San Pietro e la Sofarmed in liquidazione. Tutte riconducibili ad Alberto Scanu il quale avrebbe agito, all’interno delle stesse, in qualità di amministratore di diritto e di fatto, attraverso la sorella e vari collaboratori.

La società svuotata in una settimana
La vicenda si svolge soprattutto in ambito sanitario e ruota principalmente attorno al fallimento monstre della Polsan, convenzionata con il sistema sanitario regionale sardo. Una società messa in ginocchio, secondo la ricostruzione delle carte dell’inchiesta, in una settimana per effetto di quella che il giudice definisce “condotta distruttiva” degli amministratori. Succede infatti che attraverso un “contratto di investimento” il ramo aziendale della Polsan relativo alla sanità – del valore di oltre 16 milioni di euro – viene trasferito (rappresentante Scanu) nella Casa di Cura S.Elena srl alle 22 del 13 dicembre 2008. Dopo un’ora lo stesso ramo d’azienda rimbalza dalla Casa di Cura S.Elena alla Kinetica Sardegna srl, anche questa rappresentata da Scanu. Successivamente, ricostruisce ancora il giudice, è stato deciso un aumento del capitale effettuato il 22 dicembre. Un’operazione che ha lasciato alla società fallita tutte le posizioni debitorie: a quel punto, conclude il giudice, la Polsan è resa “incapace di fatto di di generare flussi finanziari indispensabili alla sua sopravvivenza”.

Il rischio di reiterazione e le operazioni infragruppo
Mentre ripercorre la storia dei fallimenti della Polsan e delle altre 9 società, il gip Casula si sofferma sul rischio di reiterazione del reato: “Non può non evidenziarsi la gravità e la costante reiterazione nel tempo dei fatti criminosi”. Il giudice osserva che gli indagati siano stati già coinvolti in un “elevato numero di fallimenti” e che i reati contestati nell’inchiesta si sono protratti ininterrottamente per almeno 16 anni, dal 2002 al 2018. E solo perché Scanu e sua sorella Laura si sono opposti in giudizio, hanno ritardato la pronuncia di fallimento delle loro società. Ma così facendo, aggiunge il gip, hanno aggravato il dissesto delle società del gruppo, aumentandone il passivo.

Sono dunque numerose, diffuse e perduranti nel tempo le anomalie gestionali riconducibili al Gruppo Scanu nel suo complesso. Risulta dai documenti acquisiti e dalle relazioni dei curatori fallimentari il ricorso, da parte degli indagati, ad un collaudato “modus operandi” attraverso il ricorso ad “operazioni infragruppo”, con atti di disposizione di beni o trasferimenti in favore di un’altra componente del gruppo, finalizzata a neutralizzare gli eventuali diritti dei creditori e a tappare le falle di una situazione debitoria drammatica e ben nota agli ambienti finanziari.

Il rapporto con le banche: “Eccessiva tolleranza e scarsa trasparenza”
Lo dimostra anche l’attenzione dell’Area di vigilanza della Banca d’Italia nei confronti dei rapporti del Gruppo Scanu con gli istituti di credito e in particolare col Banco di Sardegna, sfociato il 7 agosto 2013 in una segnalazione alla Procura, dopo un periodo di osservazione di quattro mesi dal 20 febbraio al 13 giugno 2012. Nel corso degli accertamenti, ricorda ora l’ordinanza firmata dal gip Giampaolo Casula, erano emerse “anomalie” gestionali che avevano beneficiato di “reiterate ed infruttuose dilazioni”. In particolare per la Clinica Sant’Elena era emersa “l’assenza di un’autonoma stima del bene ipotecato nonché il significativo depauperamento di valore dello stesso cespite, dopo il trasferimento a terzi del ramo d’azienda sanitario”. Gli ispettori rilevavano inoltre “l’eccessiva tolleranza e la scarsa trasparenza che hanno contraddistinto la gestione delle relazioni creditizie, mantenute tra gli incagli con incongrue previsioni di perdita, ancorché in palese stato di insolvenza irreversibile”. Esposizioni che riferite al Gruppo Scanu raggiungono nel 2012 l’ammontare di 21,7 milioni di euro. Il complesso debitorio arriva poi a 26,8 milioni se si considerano anche i crediti delle controllate Banca di Sassari e Sardaleasing. In pratica la relazione degli ispettori sembra suggerire un occhio di favore da parte del Banco di Sardegna e delle sue controllate nei confronti del Gruppo Scanu, nonostante si sapesse fin dagli inizi del 2000 quali fossero le reali condizioni del gruppo. I fallimenti, dunque, conclude l’ordinanza, sarebbero conseguenti alle “attività criminose” degli Scanu “in concorso con altri e nel 2008, con i manager del gruppo Kinetica coi quali fu portato a compimento il disegno esfoliativo della società Polsan”. Sul ruolo avuto dal Banco di Sardegna, però, non sarebbero stati mossi rilievi penali.

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