Kemal, Aria, Chiara. Questi sono solo alcuni dei nomi di persone che in questi ultimi mesi sono riuscite a ritrovare la speranza e ad avere una vita migliore grazie a circa 400mila sostenitori che hanno appoggiato le loro battaglie per il diritto a curarsi. Un diritto fondamentale la cui affermazione è dipesa dalla tenacia di questi pazienti e di chi stava loro accanto, sia in forma virtuale che nella loro vita quotidiana.

Kemal era arrivato in Italia durante gli anni della guerra in Bosnia, ma era tornato nel suo paese alla fine del conflitto. Diversi anni dopo gli era stato diagnosticato un tumore che però poteva curare solo in Italia. Grazie a 92.316 firme raccolte su Change.org, ha affrontato sei operazioni e può adesso tornare a casa.

Kemal è rimasto colpito dai tantissimi messaggi di solidarietà ricevuti dagli utenti, che lo hanno caricato d’energia positiva e che hanno permesso a questo 27enne di lottare contro il suo male: ci sono commenti, per esempio, come quello di Marina (“Kemal è già stato penalizzato molto dal destino, ha perso la madre a causa della guerra, vive con una gamba amputata, combatte contro un tumore. Sono ragioni più che sufficienti per sostenerlo, aiutarlo in questo lungo percorso doloroso”) o di Ferdinando (“Ho firmato perché anche Kemal è mio fratello. Coraggio ragazzo, ce la farai”).

La storia di Kemal è simile a quella di Aria, 2 anni, arrivata in Italia con la madre dall’Albania per curare la rara forma di anemia dalla quale era affetta fin dalla nascita. A luglio finalmente ha potuto curarsi: ha ottenuto il permesso di soggiorno di un anno e ha subito un trapianto di midollo osseo all’Ospedale Bambin Gesù, avendo trovato nel frattempo un donatore che, avendo sentito parlare della petizione, si è dimostrato disposto ad aiutarla. Tra quelli che l’hanno sostenuta c’è Martina che, spiegando la ragione della propria firma, ha scritto: “la serenità di una bambina merita mille firme. Le auguro di riuscire a vivere il prima possibile la spensieratezza che l’infanzia dovrebbe avere!”.

E poi c’è Chiara, che ha 18 anni e una malattia rara degenerativa: l’esostosi multipla. In Puglia, dove vive, non ci sono centri specializzati e per curarsi è costretta a viaggiare, affrontando spese non indifferenti. La sua regione rimborsa i viaggi per curarsi solo fino ai 18 anni e per questo ha chiesto che il diritto alla salute dei pazienti con malattie rare non abbia una scadenza. In pochi mesi Chiara ha raccolto quasi 180mila firme.

La sua storia ha fatto il giro del web e dei media e Chiara ha ricevuto risposta da parte del presidente della Regione Michele Emiliano dei vertici della sanità pugliese: a novembre, il Consiglio regionale dovrà discutere le sue richieste. “Noi guerrieri abbiamo bisogno di istituzioni che lottino al nostro fianco, o per lo meno, che garantiscano sempre il diritto a potersi curare”, ha scritto Chiara nella sua petizione.

Già oggi, in Italia mancano 56mila medici: soprattutto al Sud la carenza di medici crea situazioni sempre più emergenziali e allarmanti. Non solo: si stima anche che di qui a cinque anni mancheranno circa 16mila medici specialisti nelle corsie degli ospedali del nostro Paese. Nessuno è in grado di immaginare cosa questo comporterà per le vite di tutti noi, dei nostri amici e familiari. Ma c’è un segnale di speranza forte che arriva dal basso: la volontà e la generosità delle persone è più forte della rassegnazione.

Ma per cambiare davvero le cose servono ancora più forze: per questo è importante firmare petizioni come quella di Gabriella, studentessa di medicina che chiede di raddoppiare le borse di studio per le specializzazioni mediche. E ricordare al nuovo governo che in legge di bilancio occorre aumentare i fondi per il Servizio sanitario nazionale, nostro fiore all’occhiello. Perché una società solida è quella che si occupa per prima cosa dei più deboli, e non possiamo permetterci di lasciare nessuno di loro solo.

Articolo Precedente

Minori, Terres des Hommes: “Aumentano le vittime di reati in Italia: nel 2018 sono state quasi 6mila”. Più della metà sono bambine

next
Articolo Successivo

Pena di morte: “Da undici anni scriviamo lettere a un detenuto americano condannato alla pena capitale. E non smetteremo mai”

next