Cultura

Strage di Marzabotto, Ferruccio il sopravvissuto: “La mia vita martoriata. I tedeschi sterminarono i miei, ma non li ho mai odiati: basta intolleranza”

Laffi, 91 anni, intervistato all'Ansa: "Sono stato 50 anni senza parlarne: facevo fatica, volevo solo dimenticare". Le SS che trucidarono quasi 800 persone sulle colline intorno a Monte Sole uccisero 14 membri della sua famiglia: "Un prete rifiutò la benedizione dei cadaveri e non andai più a messa. Poi qui ho incontrato il vescovo Zuppi. E siamo diventati amici"

di F. Q.

Non riusciva a raccontare. Soffriva troppo. Voleva solo dimenticare l’orrore. Poi “l’armadio della vergogna” fu finalmente voltato dalla parte giusta ed è stato un po’ più facile ma non meno doloroso. Gli occhi velati dalle lacrime, ma lucidi e pieni di ricordi. Ferruccio Laffi, 91 anni compiuti a maggio, abita a Marzabotto, sulle colline di Bologna, ed è sopravvissuto all’eccidio di Monte Sole. Racconta la sua storia in una lunga intervista all’agenzia Ansa. “La mia vita è stata martoriata. Sono stato cinquant’anni senza parlare di queste cose: prima c’era silenzio, poi hanno scoperto ‘l’armadio della vergogna’ ed è venuto tutto alla luce. All’inizio facevo fatica a raccontare, volevo solo dimenticare, ma non si riesce a farlo. E’ sempre una ferita che fa male“.

Il 30 settembre del 1944, 14 membri della sua famiglia vennero uccisi dalle truppe delle SS nel cortile della loro casa. Ferruccio, allora 16enne, scoprì cosa era accaduto solo a sera, quando rientrò a casa. “Già il 29 settembre avevamo cominciato a sentire gli spari – racconta seduto al tavolo della sua cucina alla cronista dell’Ansa Sara Ferrari – Abbiamo avvistato un primo plotone di soldati tedeschi, mio padre mi disse di andare ad avvisare i partigiani. Io corsi da loro, ma sapevano già tutto e mi dissero di nascondermi. Aspettai alcune ore, poi tornai a casa. Mi accolse mia madre che mi disse che non era accaduto nulla e che i soldati avevano solo chiesto da bere. Per me, per noi, era già finito tutto. Il giorno dopo, il 30 settembre, siamo andati nei campi, a mezzogiorno siamo tornati a casa a mangiare. Finito il pranzo – continua Laffi – abbiamo guardato in alto e abbiamo visto altre truppe tedesche avanzare verso casa. Non era finita. E non sapevamo niente di quello che era successo il giorno prima”.

Ferruccio e i suoi fratelli si nascosero tra i calanchi che costeggiano il fiume Reno. “Sapevamo – prosegue – che i tedeschi prelevavano gli uomini per farli lavorare e io, a 16 anni, ero già un uomo. Siamo andati a nasconderci, erano le 2 di pomeriggio. A casa erano rimaste 18 persone: 14 della mia famiglia e quattro sfollati. Quando è calato il buio, siamo tornati e abbiamo visto la casa bruciare. Pensavamo non ci fosse nessuno poi, nell’aia, trovammo tutti trucidati. C’era una persona rannicchiata in un angolo, era mio padre. Abbiamo spento le fiamme, la mattina dopo abbiamo scoperto che nelle altre case i tedeschi avevano fatto lo stesso”.

I tre fratelli seppellirono i vicini e i parenti dopo avere chiesto ad un sacerdote un’ultima benedizione. “Lui rifiutò – ricorda Ferruccio – disse che non sarebbe venuto perché tirava una brutta aria, ma non era vero. Quel giorno non c’erano i tedeschi lì vicino. Se c’è un Dio, mi sono detto, queste cose non devono succedere. Dopo, ho smesso di andare a messa, poi un giorno, qui a Marzabotto, ho incontrato l’arcivescovo di Bologna, monsignor Matteo Maria Zuppi. Siamo diventati amici. Gli ho detto che sono un tifoso di Papa Francesco e, quando l’ho incontrato durante la sua visita in città, l’ho invitato a Marzabotto. Glielo ha detto anche Zuppi. E’ difficile, ma sono certo che lui verrebbe”.

Dopo l’ultimo saluto ai familiari, per i fratelli Laffi iniziarono giorni difficili, tra fughe e prigionia. Ferruccio venne separato dagli altri e, dopo essere stato costretto a lavorare per i tedeschi e avere scampato l’esecuzione, raggiunse Bologna dove ha vissuto il giorno della Liberazione della città, il 21 aprile 1945. “E’ stata una giornata bellissima – ricorda commosso – ero contento, ma alla sera, quando sono rientrato a casa, sono andato a letto e ho pensato che della mia famiglia non c’era più nessuno“.

Negli anni successivi, Laffi ha raccontato la sua storia a tanti giovani, a studenti di tutte le età. Un impegno a cui non viene meno per coltivare la memoria. Oltre a curare l’orto, per regalare la verdura di stagione a familiari e vicini, ogni giorno legge il giornale “perché è sempre importante – spiega – essere informati” e, ragionando sul presente, dice: “Io ho fretta: ho già compiuto 91 anni. Vorrei vedere un’Italia migliore. Basta odio, bisogna essere più tolleranti. Non bisogna chiudere i porti, non è possibile vedere gente che annega. Il mare è diventato un cimitero. Io se c’è uno che non mi piace lo evito, però non dico che lo odio. Io dovrei odiare i tedeschi per quello che mi hanno fatto, io non odio nessuno. La religione perdona tutti, il perdono degli uomini è personale“.

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