Nessun “nuovo elemento” e una prospettata “alterazione della scena del crimine” fatta “non si sa bene da chi, né quando, né come”. Così Elisabetta Melotti, procuratrice della Repubblica presso il Tribunale di Rimini in audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia, ha risposto alla tesi sulla morte del ciclista Marco Pantani, presentata lo scorso aprile da Umberto Rapetto, consulente della famiglia e già generale di brigata della Guardia di Finanza.

Secondo Rapetto il 14 febbraio 2004 il campione non sarebbe stato solo. A dimostrarlo delle controverse “macchie di sangue” e il come, al momento del ritrovamento del cadavere, “era posto il braccio”. “Non si può pensare che sia stato lo stesso ciclista a spostarlo”, aveva sostenuto il consulente davanti a Nicola Morra, esponente del Movimento 5 stelle che presiede la Commissione, presentando un dossier di 56 pagine e chiedendo di valutare l’opportunità di svolgere una nuova inchiesta sul caso.

Per la procuratrice Melotti però “gli elementi sono stati già tutti esaminati dal giudice” e non ce ne sono di nuovi “sulle cause della morte”. La Melotti davanti all’Antimafia ha ripercorso tutte le fasi delle due indagini che hanno riguardato la Procura da lei guidata da poco più di un anno. “La prima riguardante il decesso di Pantani, la cui morte è stata ritenuta addebitabile a intossicazione acuta di cocaina – ha spiegato la procuratrice – La causa era accidentale e le indagini portavano a escludere l’azione di terzi. Le indagini hanno individuato le persone che hanno ceduto la cocaina, tre in tutto. Due hanno patteggiato (quattro sono state le cessioni di droga dal 2003 a febbraio 2004, proprio nel residence in cui si trovava Pantani al momento della morte), mentre il terzo è stato condannato in primo grado e in appello e assolto in Cassazione, ma solo per carenza di prove sul ruolo del soggetto”. “Un ruolo secondario e una assoluzione che non incrina l’attività probatoria degli altri due soggetti”, ha spiegato il magistrato.

La seconda indagine, invece, è nata nel 2014, a dieci anni dal decesso, dopo l’esposto dei familiari di Pantani convinti che si trattasse, di fatto, di omicidio. Ma dopo varie indagini, ha ricordato la procuratrice, “il Pm ha chiesto l’archiviazione e il gip in un articolato decreto, ha concluso per l’archiviazione, evidenziando nell’ultimo capito che l’ipotesi omicidiaria era sostanzialmente ‘fantasiosa’”.

Infondato, secondo la Melotti, anche il sospetto che vi sia stato un interessamento della criminalità nell’omicidio del ciclista, come prospettato da Rapetto. “Ma erano decorsi 5 anni – ha evidenziato il procuratore – e non è prospettato quale interesse potesse esserci, visto che Pantani era stato eliminato dal Giro d’Italia già dal ’99 per doping”. “Nella relazione del generale non ho alcun visto di collegamento tra il 1999 e il 2004 mentre secondo lui c’è un collegamento che non è evidente, Pantani era fuori da 5 anni. Non c’è un movente, non c’è nulla. Sono stati valutati tutti gli elementi ora riproposti dal generale Rapetto, si può essere d’accordo o no ma è così. Non ci sono elementi nuovi, neppure rispetto all’ipotesi che ci fossero altre persone in camera al momento della morte di Pantani. Si chiede una rivisitazione degli stessi elementi. A istanza di 15 anni è oggettivamente difficile avere elementi originali“, ha concluso il magistrato.

Diverse invece le “prove” che, secondo la relazione di Rapetto, avallavano proprio la tesi sempre sostenuta dalla famiglia del Pirata quella cioè che coinvolge il giro di scommesse legate alla criminalità organizzata sul vincitore del Giro d’Italia del 99, quando il ciclista fu escluso perché risultato positivo a un controllo antidoping dopo l’arrivo a Madonna di Campiglio.

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