Ci sono certezze nella vita: una è che al ristorante chi sta servendo a tavola, se ci sono uomini e donne, chieda ad un uomo di assaggiare il vino; la seconda è che, fatto un nuovo governo, se sei una femminista, ti chiedano che ne pensi della percentuale di donne ai ministeri.

Attenzione: non ti chiedono che ne pensi della percentuale di uomini, né della loro eventuale competenza per svolgere i compiti istituzionali.

Del resto è ovvio, e scontato, che gli uomini ci siano, in ogni governo, e scontato è che siano la stragrande maggioranza della rappresentanza istituzionale ad ogni latitudine, se eccettuiamo un caso eccezionale nella storia politica recente: nel New Hampshire, nel 2014, fu eletto un esecutivo composto di sole donne.

Ma è, per l’appunto, un fatto fin qui ineguagliato.

Sgombriamo però subito il campo da un equivoco generato da uno stereotipo: nonostante le pur grandi differenze all’interno del femminismo, non conosco attiviste che vogliano soltanto donne al governo. Non si tratta di questo, sarebbe troppo semplicistico pensare che sostituire i corpi nei luoghi dove si decide sia sufficiente a modificare radicalmente una situazione di squilibrio e ingiustizia tra uomini e donne sul pianeta.

L’attivismo femminista ha sempre considerato prioritario la visione, il cambio di passo rispetto al senso della politica, intesa come polis e quindi come luogo dove si progetta la convivenza tra gli esseri umani sul pianeta, che l’ecofemminismo considera un organismo vivente esso stesso, il grande e fragile corpo di Gaia tanto cara alla giovane Greta e a parte della sua generazione.

Non a caso tutti gli appelli pensati fin qui da associazioni e gruppi femministi in Italia tendono a sottolineare che la rappresentanza politica femminile non si può ridurre al concetto di pari opportunità.

“Le pari opportunità, misurate sul filo di risibili quote rosa, sono una piccola concessione mirata ad aggiustamenti che nulla hanno a che vedere con la dimensione tragica causata dalla volontà di mantenere in posizione di sudditanza l’intera popolazione mondiale delle donne”, sottolinea una nota di Udi così come la Rete per la parità chiede al nuovo governo “che si tenga conto che l’Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo sostenibile ha inserito tra i 17 obiettivi da perseguire per il futuro dell’umanità, l’obiettivo 5 parità di genere per la consapevolezza, ormai acquisita a livello mondiale, che senza parità uomo/donna non c’è rispetto per l’ambiente”.

Molto vicina all’esperienza, unica in Europa, di Feminist Initiative, il partito svedese che portò nel 2014 al Parlamento europeo Soraya Post, purtroppo non riconfermata alle recenti elezioni a causa della drammatica svolta sovranista nell’eurozona, in Italia l’associazione Iniziativa femminista prende spunto da un testo forse sconosciuto alle generazioni più giovani per disegnare un progetto politico di respiro più largo: il libro si chiama Terra di lei, ed è stato scritto Charlotte Perkins Gilman.

Iniziativa femminista propone al posto di un ‘governo ombra’ alternativo a quello che si sta delineando un governo di lei, un interfaccia che dal momento dell’insediamento del nuovo esecutivo lo talloni passo passo avanzando proposte e monitorando la situazione. E la prima proposta guarda alla Presidenza della Commissione Europea: “Noi siamo pronte al confronto in Italia e anche in Europa, dove ricordiamo che la Presidente Ursula von der Leyen aspetta da noi l’ultima indicazione con due nomi per la parità di genere. Non c’è che l’imbarazzo della scelta: cominciamo a segnalare Loretta Napoleoni, esperta di rapporti con la Cina, Mariana Mazzucato, già segnalata da diverse associazioni femministe e Laura Boldrini, la cui esperienza è nota”.

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