Un piccolo faro acceso sulla valle di cui si parla troppo poco, dove lo sforamento di particelle sottili e ultrasottili è una costante e gli ammalati di tumore sono statisticamente troppi. Siamo nella piana di Venafro, in Molise, per la quale pochi giorni fa dopo una battaglia durata anni e portata avanti dai cittadini la Regione ha annunciato il finanziamento, con 60mila euro, di uno studio epidemiologico. Qui, dove gli occhi sono puntati su alcuni impianti industriali tuttora al centro di verifiche e indagini. In una lettera inviata di recente dal Ministero della Salute al commissario dell’Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro si parla di “eccessi statisticamente significativi per tutte le cause di morte”. Con queste parole, messe nero su bianco il 24 luglio 2019, il ministero spiega all’Iss che quanto emerso in uno studio preliminare commissionato al Cnr di Pisa dall’associazione ‘Mamme per la Salute’ di Venafro indica la necessità “di approfondire l’indagine conoscitiva attraverso l’implementazione di uno studio epidemiologico”. Un’analisi chiesta da tempo anche dai sindaci di Venafro e di altri comuni dell’area, che avevano dato la loro disponibilità ancor prima dell’annuncio della Regione.

LA RICHIESTA DEL MINISTERO – Il Ministero della Salute ha chiesto un coinvolgimento diretto dell’istituto nella programmazione del nuovo studio, proprio alla luce delle criticità emerse dalla prima valutazione dello stato di salute della popolazione dei comuni di Venafro, Pozzilli, Sesto Campano e Isernia, commissionata dall’associazione di mamme. Quello studio ha evidenziato anomalie “rispetto al contesto regionale” in particolare per le malattie cerebrovascolari e per quelle del sistema circolatorio. Per le donne “l’analisi ha mostrato un eccesso di tumori – scrivono dal ministero – soprattutto per quello della mammella”.

LA PIANA DI VENAFRO – In provincia di Isernia operano da oltre dieci anni due impianti: l’inceneritore Herambiente di Pozzilli, che brucia circa 100 tonnellate di rifiuti all’anno e il cementificio Colacem di Sesto Campano, nel quale vengono incenerite quasi 25mila tonnellate di rifiuti ogni anno. Inoltre, a San Vittore del Lazio, comune al confine con il Molise, c’è l’inceneritore Acea che brucia fino a 400mila tonnellate di rifiuti. Le mamme di Venafro si sono rivolte all’Unione Europea, hanno presentato esposti alla Procura di Isernia, impugnato il piano Rifiuti e partecipato con le loro osservazioni ai procedimenti Aia dell’inceneritore e del cementificio.

L’INTERROGAZIONE PARLAMENTARE – Sulla situazione, il 5 ottobre 2018, è stata depositata anche un’interrogazione parlamentare indirizzata ai ministeri dell’Ambiente e della Salute, firmata dalla deputata del Movimento 5 Stelle Rosa Alba Testamento e da altri cinque colleghi, che già quasi un anno fa sollecitavano un secondo studio epidemiologico. I deputati sottolineano come la presenza di questi impianti (su quello di San Vittore è stata presentata una seconda interrogazione pochi giorni fa) “rende la situazione ambientale e sanitaria in tutta l’area della piana di Venafro molto critica, con continui sforamenti dei parametri delle emissioni inquinanti e un alto indice di malattie tumorali, bronco-polmonari e cardiovascolari diagnosticate alla popolazione residente”.

LE INCHIESTE ARCHIVIATE – Nel corso degli anni sono state condotte delle indagini, che finora non hanno restituito un quadro chiaro su ciò che è accaduto nella piana negli ultimi decenni. Dopo l’archiviazione di una prima inchiesta avviata nel 2013 e poi caduta in prescrizione, a dicembre 2017 l’ex procuratore capo di Isernia Paolo Albano aveva annunciato l’apertura di un nuovo fascicolo contro ignoti per l’inquinamento della Piana di Venafro. Un anno prima, infatti, erano stati sequestrati due camion contenenti le ceneri dei rifiuti provenienti dall’Herambiente di Pozzilli e diretti alla Colacem di Sesto Campano. Fu l’ex prefetto Fernando Guida a sottolineare che “siccome le forze di polizia non erano del tutto convinte degli esiti degli accertamenti dell’Arpa” si era reso necessario ricorrere a un incidente probatorio, affidando ulteriori accertamenti a un laboratorio esterno. Esiste, infatti, un’informativa dei carabinieri che ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere e nella quale si spiega che i dubbi degli investigatori erano dovuti intanto a ragioni di opportunità, visto che Arpa aveva anche rilasciato parere favorevole in merito alla concessione dell’Aia di Colacem, autorizzazione che era oggetto di esame da parte della polizia giudiziaria. Nello stesso documento, inoltre, si elencano una serie di elementi emersi dalla lettura della relazione dell’Arpa, che contrastano con quanto riscontrato dalla polizia giudiziaria e dai carabinieri della forestale che avevano fermato i due camion.

Il sospetto degli inquirenti era che ci fosse stato un impiego delle polveri (di per sé lecito) che provenivano dall’inceneritore di Pozzilli per la fabbricazione di cemento. “Abbiamo motivo di credere in base ai controlli effettuati nel 2016 e nel 2017 che i camion che trasportavano i rifiuti appartenevano a ditte collegate alla criminalità organizzata”, spiegò Guida. Da qui l’apertura del fascicolo: l’ipotesi di reato era quella di traffico illecito di rifiuti. L’inchiesta, passata alla Dda di Campobasso, è stata archiviata, dopo la perizia del consulente del gip secondo cui non era materiale pericoloso quello della Colacem di Sesto Campano. Che, a maggio 2018, ha potuto riprendere regolarmente a bruciare nei suoi forni le ceneri prodotte dalla Hera Ambiente di Pozzilli. Anche i camion fermati dai carabinieri sono stati dissequestrati. L’Associazione ‘Antonino Caponnetto’, dalla quale già era partita una denuncia nel 2017, si è opposta alla richiesta di archiviazione.

IL NUOVO SEQUESTRO E IL FASCICOLO APERTO – Dopo qualche mese, però, a novembre 2018, l’attuale procuratore capo Carlo Fucci ha disposto il sequestro del depuratore industriale di Pozzilli, in seguito a diverse segnalazioni di schiuma e odori nauseabondi nel Rava e nei pressi dello stesso impianto. “L’impianto è rimasto sotto sequestro fino a poche settimane fa – spiega Fucci a ilfattoquotidiano.it – e, nel frattempo, abbiamo continuato a monitorare per verificare se ci siano o meno stati degli sversamenti”. Dopo due anni di studi e tavole rotonde e nonostante indagini dalle quali risulta tutto in regola “questa è ancora una situazione da approfondire” commenta il procuratore, sottolineando che “se per legge si aumentano i livelli di diossina, non è detto che questi non rappresentino un pericolo”. Ma la Procura di Isernia sta seguendo anche un altro filone di indagine, aperto in seguito dell’esposto dell’ex sindaco di Venafro, Antonio Sorbo, a cui si è aggiunta la denuncia dell’associazione ‘Mamme per la salute’. “In questo caso, rispetto all’inchiesta partita prima del mio arrivo – spiega Fucci – ho messo in campo un accertamento diverso per verificare la qualità di aria, acqua e terra”. Diversi i nomi già iscritti nel registro degli indagati e le verifiche in corso anche tra i vertici di Colacem ed Herambiente che, nelle scorse settimane, ha ribadito come non ci sia, secondo l’azienda, “alcuna correlazione tra il funzionamento del termovalorizzatore di Pozzilli e la qualità dell’aria della piana di Venafro” e che si tratta di un impianto di ultima generazione che produce energia elettrica bruciando rifiuti non pericolosi.

LE DENUNCE – Eppure nella denuncia dell’ex sindaco Sorbo si fa riferimento “a un grave fenomeno di inquinamento ambientale” e a una “abnorme quantità di decessi per patologie tumorali”, oltre che a “una inusuale diffusione di altre patologie che potrebbero essere correlate a elementi inquinanti”. Si parla poi dei costanti superamenti dei limiti giornalieri di Pm 10 e annuali di biossido di azoto. Lo stesso ex sindaco racconta a ilfattoquotidiano.it delle preoccupazioni “per i casi di leucemia che negli ultimi casi hanno riguardo ragazzi giovani, residenti in particolare in alcune frazioni”. I cittadini sostengono che la presenza degli impianti produca enormi conseguenze sulla loro salute. E si ritorna ai dati diffusi dall’associazione ‘Mamme per la salute’, che denuncia un sensibile incremento di neoplasie, tumori, leucemie e, nella misura di circa il 30 per cento, degli aborti spontanei. Numeri che però sono molto approssimativi, a causa dell’assenza di un registro tumori regionale effettivamente operativo.

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