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Monica Lewinsky, lo scandalo Clinton diventa una serie: come vive una donna considerata la “sgualdrina d’America”

Per questo, a 46 anni e una vita distrutta, ha messo mano al portafoglio e si è fatta co-produttrice di una serie incentrata sullo scandalo sessuale che l’ha vista protagonista. Impeachment: American Crime Story, il titolo, ed è la terza stagione di uno dei telefilm più popolari della tv

di Francesco Oggiano

Non è una vita facile, quella di chi è considerata “la sgualdrina” più famosa del mondo. Monica Lewinsky cerca di costruirsene una da almeno 20 anni. E forse, ancora, non è arrivata neppure a mettere le travi. La first slut d’America (gioco di parole con riferimento alla first lady che significa “prima sporcacciona”) ha prima provato a farsi ricordare per qualcos’altro, poi a farsi dimenticare. Infine, arresasi al destino di chi sarà ricordata sempre per quella cosa lì, si è messa a raccontare la sua versione dei fatti. E a farla raccontare da qualcun altro.

Per questo, a 46 anni e una vita distrutta, ha messo mano al portafoglio e si è fatta co-produttrice di una serie incentrata sullo scandalo sessuale che l’ha vista protagonista. Impeachment: American Crime Story, il titolo, ed è la terza stagione di uno dei telefilm più popolari della tv (le prime due sono state incentrate sul processo a OJ Simpson e sull’assassinio di Gianni Versace). “Le persone hanno raccontato la mia storia al posto mio per decenni”, ha detto. Adesso vuole farlo lei, rinvigorita dallo scandalo Weinstein e dal movimento #Metoo, a cui pare voler affiancare sempre di più il suo caso, strutturando una narrazione in cui figura sempre più come vittima di un “grave abuso di potere”.

Andiamo con ordine. Quando nel 1998 scoppia il Sexygate, quando l’America si immerge nella Stanza Ovale, nelle abitudini sessuali dell’uomo più potente del mondo e nella vita di quella stagista 22enne proveniente da Los Angeles, Monica Lewinsky inizia a lavorare a maglia. Si butta nella produzione di maglioni. A casa sua. Meno di un anno dopo, crea una linea di borse che portano il suo nome, “The Real Monica”. Le vende online e in alcuni negozi prestigiosi di New York, Los Angeles e Londra.

Ha 26 anni, Monica, e la voglia di farsi vedere. Non si nasconde propriamente dagli occhi del mondo. Anzi. Fa da testimonial televisiva per gli spot della società di Jenny Craig, famosa nutrizionista. In cambio di un milione di dollari, perde 20 chili in sei mesi. La società, di fronte alle proteste, decide di sospendere gli spot e la paga solo 300 mila dollari. All’inizio del 2000 si trasferisce a New York, diventa una star delle feste mondane di Manhattan, fa delle comparsate su Mtv. Appare in degli speciali dedicati a lei e partecipa persino a Mr. Personality, un reality show piuttosto trash in cui consiglia le donne su quale uomo scegliere tra i loro pretendenti mascherati. Mezza America le urla contro perché sta capitalizzando uno scandalo che ha reso la loro patria più debole agli occhi del mondo. Lei spiega che ha bisogno di pagarsi gli avvocati. E che in fondo crede in quella dieta. Non funziona. Rimane la “slut”.

Nel 2005, decide di scomparire. Ufficialmente in difficoltà a trovare un lavoro vista la fama che la precedeva, ma molto più probabilmente perché alla ricerca di una vita, Monica si trasferisce a Londra per studiare Psicologia alla London School of Economics. Per un decennio, durante il quale viaggerà tra l’Inghilterra e l’America lavorando per delle no-profit, Monica Lewinsky non parla più pubblicamente. Si nasconde dal mondo e dal suo passato.

Dieci anni dopo, in un mondo completamente cambiato da internet, ritorna con un tweet (“Here we go”,”Eccoci”), con una lettera a Vanity Fair e con la partecipazione alle campagne contro il cyberbullismo. È cambiata, Monica. Racconta la sua storia da un altro punto di vista, molto più interessante. Quello delle vessazioni ricevute online. Non dà la colpa a Bill Clinton (“Era il mio capo, si approfittò di me. Ma fu consensuale”), ma a quelli arrivati dopo di lui, che per anni l’hanno chiamata “sfasciafamiglie”, “arrivista” e più semplicemente “pu…na”.

Dice di aver deciso di parlare di nuovo quando ha letto del suicidio di Tyler Clementi, un 18enne americano filmato di nascosto mentre baciava un altro ragazzo, bullizzato dai compagni e infine suicidatosi per la vergogna. In un toccante intervento alla Ted Conference del 2015, parla del cyberbullismo: “A 22 anni, mi sono innamorata del mio capo, e ne ho pagato le conseguenze”, racconta. “Alzi la mano chiunque qui non ha fatto a 22 anni un errore”. Sostiene di essere stata la prima persona al mondo a “perdere la reputazione su scala globale nel giro di pochi giorni” ed è vero. “Sono stata vista da molti ma conosciuta da pochi. Eppure, milioni di persone, spesso anonime, possono pugnalarti con le loro parole”. Quindi, l’appello che pare perfetto oggi: “Dobbiamo tornare ai valori della compassione e dell’empatia. Online ci manca la compassione, e l’empatia è in crisi”.

Monica ritorna da storyteller. Inizia a concedere interviste ai più seguiti programmi televisivi d’America. Parla di quando la gente la prendeva in giro per il suo peso (“Mi sentivo umiliata”), delle difficoltà a trovare lavoro (“Sognavo di essere indipendente”), dell’amore con Bill Clinton (“Era una persona sensuale”). Poi, quando nell’ottobre 2017 scoppia lo scandalo Weinstein, sale sul carrozzone del movimento #Metoo. Dice che la relazione col Presidente era consensuale, certo, ma che visto che lui era 27 anni più grande di lei e in una posizione di potere molto più forte, quella relazione costituiva un “abuso di potere”. Nel ventennale (2018) si fa intervistare per un documentario dedicato alla vicenda.“Se dovessi incontrare Hillary Clinton, mi farei forza per spiegarle quanto mi dispiaccia”, spiega. Quanto a Bill, spiega che non è “delusa da lui, ma dispiaciuta. Sarebbe un uomo migliore se si scusasse”. Adesso, il documentario prodotto da lei.

Riuscirà a costruirsi una vita, Monica? Chissà. Qualche giorno ha partecipato a un sondaggio su Twitter. La domanda a cui gli utenti erano invitati a rispondere era semplice: “Qual è il peggior consiglio professionale che tu abbia mai ricevuto?”. Lei ha risposto subito: “Uno stage alla Casa Bianca sarà fantastico per il tuo curriculum”. Un po’ di ironia, una volta tanto, per iniziare a vivere una nuova vita. O quantomeno, per iniziare a raccontarsela.

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