Per Matteo Renzi “nascerà una forza di centro, su questo non ci sono dubbi”. Mentre a Roma l’ipotesi di crisi di governo si fa strada, o almeno si inizia a parlare con insistenza di rimpasto, l’ex segretario Pd e ora senatore semplice riapre le ferite che lacerano da mesi il suo partito. In un colloquio a La Stampa, avvenuto prima del voto sulla Tav delle scorse ore, a chi gli chiede se sarà uno dei tessitori di questa nuova forza centrista si è limitato a rispondere: “Io ormai sono un osservatore”. E ha aggiunto: “Magari ne nascerà più d’una. Il problema casomai è se ne riesce a nascere davvero una seria, fatta bene”. Per Renzi “se Salvini apre la crisi è perché ha finito i soldi. La sua macchina della comunicazione ne ha bisogno di continuo. Se Salvini non rompe subito non si voterà prima del maggio 2020″. Ma potrebbe restare anche tutto com’è, “perché lui ama le campagne elettorali e vuole farsi a inizio anno quella dell’Emilia Romagna e della Calabria“. Tuttavia secondo l’ex premier, fra i possibili scenari, “il più lineare sarebbe un Conte bis“. Ma il Sole 24 Ore scrive che nei piani dell’ex presidente del Consiglio c’è un addio al Partito Democratico già da settembre.

Le parole di Renzi arrivano dopo mesi di scontri interni al partito proprio tra i suoi sostenitorie coloro che, invece, auspicano un cambiamento totale, un distacco dalla stagione del renzismo. Di esempi, come ricorda il Sole 24 Ore, ce ne sono in abbondanza e sarebbero dietro alla possibile decisione di lasciare i Dem. Una è sicuramente la mozione di sfiducia a Matteo Salvini sul caso Savoini-Russia promossa dai renziani e bloccata dal segretario del Pd, Nicola Zingaretti, “perché ora servirebbe solo a ricompattare il governo”. Al quale si devono aggiungere le polemiche sul suo annunciato intervento in aula al Senato a nome del gruppo durante l’informativa del premier Conte. Con i Democratici che, però, hanno convinto l’ex sindaco di Firenze a desistere. Poi, ancora, le polemiche contro l’iniziativa di raccogliere le firme per le dimissioni di Salvini lanciata dai comitati civici renziani, anche quella stoppata.

Senza dimenticare l’attacco del tesoriere del Pd, Luigi Zanda, che a Repubblica ha dichiarato che l’ex premier ha personalizzato eccessivamente la campagna per il referendum e “aveva promesso che avrebbe lasciato la politica, ma non l’ha fatto”. “Gli zingarettiani, attraverso Zanda, mi insultano persino nel giorno della Tav – è lo sfogo di Renzi secondo quanto riporta il Sole – Se lascerò il Pd sarà perché nei fatti mi buttano fuori. Forse vale davvero la pena di prendere atto che non c’è più soluzione“.

Anche Carlo Calenda, in un’intervista a Repubblica, interviene sulle divergenze interne al partito: una parte del Pd “non vuole che il governo cada”, dice ai giornalisti del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, contestando anche lui la strategia parlamentare scelta dai Dem al Senato sulla Tav: “Quello che è accaduto in aula sulla Tav è semplice – si legge – Abbiamo rinunciato a colpire il governo ancora più duramente, votando la nostra mozione e lavorando con le altre opposizioni per astenerci o uscire dall’aula in blocco su quella del Movimento 5 Stelle“. Le ragioni “sono altrettanto semplici: una parte del Pd, maggioritario nei gruppi parlamentari, non vuole che il governo cada”.

E l’ex ministro dello Sviluppo Economico non nasconde che esistano “due Pd ed è bene prenderne atto perché altrimenti non si riuscirà mai a fare un’opposizione efficace. C’è il Pd di Renzi che controlla la maggioranza dei gruppi parlamentari. E c’è il Pd di Zingaretti, Franceschini, Gentiloni eccetera che controlla la maggioranza degli organi di partito. I leader di questi due Pd non si incontrano e non si parlano mai. A furia di litigare, questo veleno sta scendendo nella base del partito”.

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