Tre giorni fa la clamorosa notizia dell’annullamento da parte del Tar del concorso per dirigente scolastico, in fase di conclusione, a causa dell’incompatibilità di alcuni commissari. Oggi, forse domani, la sospensiva del Consiglio di Stato rispetto alla pronuncia del Tar. Il “gioco delle parti” continua, sulla pelle di tanti aspiranti dirigenti; e si replica, si perpetua, concorso dopo concorso. Naturalmente senza che nessuno paghi per gli errori che vengono reiterati per incuria, approssimazione, dilettantismo.

E’ normale che un concorso pubblico per il reclutamento di (sic!) dirigenti scolastici transiti necessariamente e puntualmente per le aule dei tribunali? Esattamente come accade per molti altri concorsi pubblici, talvolta con risvolti clamorosi, come nel recente caso dell’Università di Catania? Dopo il liturgico pronunciamento della magistratura su elementi di incoerenza rispetto alle condizioni di legittimità del concorso medesimo, però, sono intervenute le altrettanto rituali rivendicazione di un’emergenza pressante (nel caso specifico, la necessità di nominare i dirigenti per il prossimo anno scolastico), puntuali levate di scudi in certi ambiti sindacali (che poco hanno fatto per scoraggiare, condizioni concorsuali a dir poco ambigue) e inerzia elefantiaca di un’amministrazione incapace; con la certezza che, al prossimo concorso, ci si ritroverà esattamente nelle medesime condizioni, senza che nessuno faccia nulla per prevenirle. Sarebbe senza dubbio un problema che l’intera tornata concorsuale venisse annullata; ma perché arrivare a tanto, senza prevedere in tempo utile possibili problemi?

Nel 2011 l’iter del concorso fu puntellato da cambiamenti di rotta, colpi di scena clamorosi, rilevazione di errori fuori tempo massimo (una settimana prima della prova preselettiva vennero espunti quasi 1000 quesiti sugli oltre 5000 su cui il Miur aveva fatto esercitare i candidati, perché errati; ovviamente nessuno ha pagato per un così macroscopico errore), interrogazioni parlamentari.

Il percorso del candidato – ammesso o no alle prove – deve comunque prevedere l’inevitabile ricorso alla magistratura – con l’alea, l’esborso e la precarietà che tutto ciò comporta –  dal momento che l’incertezza del diritto la fa da padrona. Se viene ammesso o no, non è detto che il suo non si trasformi in un calvario burocratico, tra avvocati, ricorsi, attese, convocazioni imprevedibili extrema ratio (si noti, nel link precedente, che la convocazione per la prova scritta è stata, nella attuale tornata concorsuale, pubblicata addirittura il giorno prima la prova medesima, il 12 dicembre per il 13). Insomma, una gimkana snervante.

Quando il segretario nazionale della Uil scuola, Pino Turi, dichiara: “Il punto  è che i concorsi mostrano tutto il loro limite. Abbiamo delegato il reclutamento alla magistratura. Non è più possibile. Vanno trovati procedure e strumenti di selezione nuovi”, commette un grave errore. Perché butta via il bambino e l’acqua sporca, aprendo inopportunamente ad una deriva che potrebbe essere molto pericolosa. Quella del superamento di garanzie collettive, di uguaglianza prevista dalle nostre norme, ma non praticata da chi quelle norme deve applicare.

E’ davvero così difficile per l’amministrazione italiana organizzare un concorso che non degeneri nelle pastoie dell’illegittimità, dell’arbitrio, della discrezionalità, quando non del malaffare? E’ una pretesa eccessiva chiedere un trattamento che garantisca commissioni, criteri, modalità validi per tutti, che costruiscano condizioni di legittimità incontrovertibili; che determinino evidenze inconfutabili?

Il mutamento antropologico del personale della scuola, derivato dallo smontaggio progressivo della scuola della Costituzione, della scuola pubblica come istituzione dello Stato che garantisca, attraverso la conoscenza emancipante, condizioni uguali per tutte/i, ha visto anche nella trasformazione da preside – con il dlgsl 165/01, grazie all’autonomia scolastica – a dirigente un passaggio determinante nello snaturamento del senso culturale e politico che la scuola ha avuto nel nostro Paese. L’inserimento della scuola in una logica aziendalista ha contribuito a porre i vari istituti in un regime di concorrenza, docenti e studenti in competizione, a sostituire la certezza sterile del test alla complessità del pensiero critico analitico.

Il reclutamento dei dirigenti scolastici, peraltro, non è elemento neutro rispetto a questo cambiamento: nella gerarchizzazione della scuola (costruita pazientemente dalle “riforme” che si sono susseguite dopo l’autonomia), il dirigente risponde direttamente all’indirizzo che il ministro e l’ufficio scolastico regionale (organi politici) impongono. I dirigenti scolastici hanno assunto molto spesso il ruolo di facilitatori del cambio di rotta dalla scuola della Costituzione alla scuola azienda: non è un caso che le regioni Veneto e Lombardia che pretendono l’autonomia differenziata sull’istruzione rivendichino l’assunzione in proprio dei dirigenti scolastici.

Da tempo il concorso ha cessato di chiedere ai candidati di essere “donne e uomini di scuola”; si orienta la loro formazione alla perizia manageriale: dalle batterie di test delle prove preselettive ai quesiti di scritti e orali. Le prove stesse selezionano ed addestrano dirigenti la cui caratteristica deve essere l’omologazione al Pensiero Unico. Ma questo è un altro, complesso, discorso. Che nulla toglie alla gravità dell’imbarazzante situazione in cui “vincitori e vinti” possono star certi di ritrovarsi alla fine di ogni tornata concorsuale.

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