L’Egitto e l’Italia uniti in ambito economico ma non ancora in quello morale. Il ministro Matteo Salvini ha ribadito di comprendere la richiesta di giustizia della famiglia di Giulio Regeni, ma per l’Italia è fondamentale avere buone relazioni con un Paese importante come l’Egitto. Potremmo aggiungere eccezionali, soprattutto in questo momento storico dove la scoperta del giacimento di Zohr, il più grande giacimento nel Mediterraneo, ad opera dell’Eni, sta generando enorme soddisfazione e soprattutto ricchezza.

L’attuale livello di produzione è stato ottenuto a seguito dell’avvio della quinta unità produttiva dell’impianto a terra, otto pozzi in produzione e un nuovo gasdotto sottomarino da 30 pollici di diametro e 218 chilometri di lunghezza. Zohr, uno dei sette progetti da record di Eni, sta dando un contributo fondamentale nel sostenere l’indipendenza dell’Egitto dalle importazioni di Gnl. Il sito di Zohr ha già generato 40mila posti di lavoro diretti e indiretti e dovrebbe far risparmiare all’Egitto 2,5 miliardi di dollari Usa per gas naturale all’anno. Eni ha investito in Zohr 12 miliardi di dollari per poi vendere il 30% delle sue azioni alla russa Rosneft e il 10% alla Bp del Regno Unito.

Intanto la famiglia di Regeni è tornata a chiedere con forza al governo italiano il ritiro del nostro ambasciatore al Cairo e di dichiarare l’Egitto “Paese non sicuro”. Un Paese in cui secondo la recente relazione sull’export di armi sono state autorizzate sei nuove esportazioni di sistemi militari del valore di oltre 69 milioni di euro, che fanno del Paese del generale Al-Sisi il terzo acquirente di armamenti italiani tra gli Stati non appartenenti all’Ue o alla Nato.

Inoltre, sulla base di licenze rilasciate negli anni scorsi, nel 2018 sono state effettuate ben 61 esportazioni di sistemi militari verso il Cairo del valore complessivo di più di 31 milioni di euro. Dalla relazione è impossibile conoscere gli specifici modelli degli armamenti esportati, ma è documentata l’autorizzazione per l’esportazione nel 2018 di armi e armi automatiche di calibro uguale o inferiore a 12,7 mm, di bombe, siluri, razzi, missili e accessori, di apparecchiature per la direzione del tiro, di apparecchiature elettroniche e di software.

Tutto ciò era già chiaro da tempo. Secondo un documento di Amnesty International, in piazza Tahrir dopo gli scontri tra manifestanti e forze armate del 2011 vennero rinvenuti dei bossoli di munizioni della italiana Fiocchi. Riguardo alle esportazioni della Fiocchi, l’Osservatorio Opal fece notare che le effettive spedizioni di munizioni ad uso militare della Fiocchi non furono riportate nella Relazione della presidenza del Consiglio: c’erano le autorizzazioni rilasciate dai ministeri degli Esteri e delle Finanze (per i pagamenti) ma mancava il riscontro dell’Agenzia delle Dogane. Infine, ancor prima della rivolta di piazza Tahrir, nel 2010 erano stati esportati al Cairo ben 2.450 fucili d’assalto automatici della ditta Beretta modello SCP70/90 corredati di 5.050 parti di ricambio.

Di certo tra Italia e Egitto non c’è solo il business delle armi. In Egitto operano più di 100 aziende italiane tra cui l’Edison, Banca Intesa Sanpaolo, che nel 2006 ha comprato Bank of Alexandria per 1,6 miliardi di dollari. Poi Italcementi, Pirelli, Italgen, Danieli Techint, giusto per citarne qualcuna. A ciò va aggiunto che l’Italia non ha una posizione forte, soprattutto su un Paese intoccabile e geopoliticamente strategico per le questioni nordafricane come la Libia e per il Medio Oriente. La verità su Giulio resterà a lungo solo negli occhi e nella testa dei suoi brutali assassini.

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