In principio c’è stata la cosiddetta Riforma “Bassanini” e tutta la legislazione successiva che ha favorito la creazione degli attuali centri per l’impiego in sostituzione degli Uffici pubblici di collocamento. Di seguito, la legge 469 del 1997 decretò il passaggio da un modello nazionale ad uno regionale che, a sua volta, ha delegato da un punto di vista operativo le Province. Il sistema ha così creato un “mostro” normativo, con un servizio balcanizzato in centinaia di “micro-regni” autoreferenziali.

La seconda fase è arrivata con la Riforma “Biagi” del 2003 che ha prodotto il passaggio “definitivo” da un sistema esclusivamente basato su un modello pubblico a un sistema “aperto” agli operatori privati (profit e non-profit). A dire il vero, è stato necessario attendere il programma Garanzia Giovani per veder attuato in tutte le regioni un modello di accreditamento volto a delegare ai privati la realizzazione dei servizi pubblici per l’impiego. Resta, ancora oggi, il problema che in buona parte del paese tale accreditamento rimane solo un pezzo di carta, mai concretamente attuato (alcune Regioni sono contrarie per principio e in altre manca letteralmente un mercato privato).

L’ultima fase è quella che chiama in causa i navigator e la cosiddetta piattaforma “Italy Works”, che riprende il programma Mississippi Works realizzato dal Presidente di Anpal, Mimmo Parisi, negli Usa.

La scorsa settimana, riprendendo un contributo di Francesco Giubileo, avevo segnalato in un articolo come i servizi e le politiche attive del lavoro in Europa siano già arrivati all’ultima fase, mentre in Italia stiamo ancora lentamente riorganizzando la prima fase. Infatti in questi mesi è avvenuto il passaggio da un modello provinciale a uno regionale. L’attuazione effettiva di tale modello richiederà anni, forse tenendo conto dei tempi “italici” della pubblica amministrazione anche un decennio, prima di veder realizzato appieno un sistema regionale di politiche attive del lavoro.

Si è passati da “micro-regni” provinciali a “macro-regni” regionali. Come si riuscirà a trovare un accordo con venti soggetti politicamente ed economicamente così diversi resta un “mistero”: infatti, siamo ancora impantanati sul ruolo dei navigator nei centri per l’impiego, figuriamoci poi quando si dovranno attuare le azioni “anti-divano” promesse dal ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, per scongiurare comportamenti opportunistici dei destinatari del reddito di cittadinanza. Sono facile profeta se vi anticipo che sarà un fiasco totale?

Tuttavia, ad aver creato dibattito è il tema suggerito nell’articolo, ovvero che il futuro dei centri per l’impiego si chiamano “Beatrice” (avatar di un portale del lavoro): da qui un susseguirsi di critiche, in buona parte ben riassunte nel contributo di Luigi Olivieri apparso sul Bollettino Adapt, che ringrazio perché mi permette di discutere il tema nel merito.

Innanzitutto, vorrei precisare che non ho mai pensato che in un periodo estremamente “veloce” avvenga il passaggio del modello “fisico” a quello “online”. Sto parlando di un paese che come ho detto è ancora fermo alla “prima fase rivoluzionaria”; figuriamoci se in breve tempo sarà in grado di digitalizzare completamente i centri per l’impiego. È probabile che tale rivoluzione elettronica avvenga lo stesso, con i centri per l’impiego che resteranno a guardare l’evoluzione di modelli come “Beatrice” (ribadisco, si tratta di uno strumento tra i più innovativi nel palcoscenico nazionale, vuoi perché utilizza metodi di machine learning e vuoi perché l’avatar Beatrice con il tempo diventerà sempre più precisa ed efficace) oppure l’impatto sull’incontro tra domanda e offerta di lavoro che si avrà quando Google inizierà a sviluppare il proprio motore di ricerca del lavoro.

Questo non significa che siamo arrivati alla fine del ruolo svolto dagli operatori pubblici o privati, ma è molto più probabile che entrambi dovranno ripensare al loro modello organizzativo all’interno di una logica in cui l’ambito delle piattaforme e della digitalizzazione saranno predominanti nell’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro. I primi avranno soprattutto il compito di offrire quei servizi essenziali (speriamo previsti nei Lep nazionali) volti a garantire quelle competenze necessarie ai più svantaggiati per poter navigare in Internet e conoscere i principali strumenti per cercare lavoro online; mentre i secondi (gli operatori privati) avranno il compito soprattutto di svolgere le attività di selezione del personale, che diventerà il servizio più richiesto data l’eccessiva abbondanza di candidati per ogni posizione lavorativa aperta (anche in presenza di filtri).

Nel suo articolo, Luigi Olivieri cita correttamente il ruolo delle fiere del lavoro come strumento fondamentale per agevolare l’incontro fra domanda e offerta di lavoro. Non può che trovarmi d’accordo su questo, ma è fondamentale che all’interno dei compiti di Anpal Servizi vi siano esperti di organizzazione di eventi, commerciali e di comunicazione. Solo una struttura nazionale ben organizzata può garantire cento fiere del lavoro all’anno da realizzare su tutto il territorio nazionale; e comunque tali fiere avranno successo solo se in grado di avere un’adeguata campagna social a supporto.

Resto convinto che le posizioni lavorative offerte in rete saranno declinate sotto forma di profili occupazionali di tutti i generi (dalla collaboratrice domestica, all’operaio, al dipendente con buste paga, all’idraulico o manutentore, e così via). In realtà, la vera complessità è comprendere la differenza tra Linkedin, Monster e altri portali e questo, come ho detto nel precedente contributo, resta pur sempre il compito dei navigator o, più probabilmente, dei funzionari strutturati nei centri per l’impiego.

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