L’inutilità dell’odio fra popoli, la prepotenza dei vincitori e la sofferenza dei vinti. Ma, soprattutto, donne e guerra, le due parole d’ordine delle produzioni scelte per la stagione teatrale Inda 2019, in scena al Teatro greco di Siracusa fino al prossimo 6 luglio. Come da tradizione classica, sono tre le opere rappresentate: due tragedie, Elena e Troiane di Euripide e una commedia, Lisistrata di Aristofane. Elena con traduzione di Walter Lapini e regia e scene di Davide Livermore, è la summa del messaggio politico della 55esima edizione del festival. Nella versione euripidea, la regina di Sparta colpevole agli occhi del suo popolo di aver tradito patria e marito fuggendo con Paride, è in realtà moglie fedele e innocente.

Ricalcando la protagonista della Palinodia di Elena del siciliano Stesicoro, infatti, l’Elena di Euripide non è mai andata a Troia con Paride, il quale invece è stato seguito dal suo fantasma (eidolon). La più bella fra le donne greche è fuggita in Egitto, trovando riparo alla corte di Proteo e Teoclimeno. Su Elena pende la colpa più grande per un sovrano: aver causato la guerra che ha devastato il suo popolo, quindi chiede di poter tornare in patria a dimostrare la sua innocenza. Ordisce un piano di fuga e rovescia il cliché della sua colpevolezza: la “nuova” Elena come sarebbe stata ricordata da Aristofane è esente da colpe, determinata ed eroica.

E il suo coraggio non solo riscatta tutte le vittime di una falsa credenza, ma si carica di un duplice significato: “Il primo – spiega Mariarita Sgarlata, consigliere delegato della Fondazione Inda e assessore ai Beni culturali della Regione Sicilia- è che la guerra di Troia è inutile, basata su ciò che è apparenza e illusione degli uomini; il secondo fa emergere la plasmabilità della figura femminile, modellata dagli uomini senza mai riprodurre veramente quello che è”. La guerra che ha segnato la storia del mondo antico è stata combattuta per niente. Ma questo non è l’unico dato su cui riflettere: “Per chi assiste alla rappresentazioni classiche da anni – dice Sgarlata – non è una novità quel momento di sospensione in cui l’attore sottolinea i messaggi politici dei tragediografi greci. A ‘i porti in Egitto sono chiusi’ Menelao risponde ‘i naufraghi sono cosa sacra’, caricando sulle spalle del pubblico tutto il peso dell’attuale politica sui migranti in Italia. Esiste un inevitabile destino della narrazione classica ed è quello di farci incamminare verso i nostri limiti per comprenderli, non temerli e superarli”.

A denunciare la sorte dei vinti e l’ingiustizia della guerra sono anche le Troiane di Euripide, con traduzione di Alessandro Grilli, regia di Muriel Mayette-Holtz e progetto scenico di Stefano Boeri. Elena qui non ha paura del giudizio dei Greci, né è vittima di accuse ingiuste. La vera vittima è Ecuba, e con lei tutte le troiane prigioniere degli Achei, costrette a lasciarsi alle spalle Troia in fiamme ed essere schiave del nemico. Sono donne distrutte: da regine a esuli, vedove private di ogni bene, inclusi i figli e i mariti. A completare il trio delle rappresentazioni è la commedia Lisistrata, di Aristofane, con traduzione di Giulio Guidorizzi, regia di Tullio Solenghi e scene di Andrea Viotti. Capolavoro comico di età classica, Lisistrata – letteralmente “colei che scioglie gli eserciti” – mette in scena la strategia delle donne per porre fine alla Guerra del Peloponneso, che dal 431 a. C. devasta Greci e Spartani. Il piano delle donne è semplice: sciopero del sesso.

Troppe volte le donne hanno giudicato futili le ragioni che hanno spinto gli uomini alla battaglia, adesso sanno di poter difendere da sole le loro famiglie con la loro arma più potente: l’astuzia. La licenziosità del testo è la cifra che da sempre caratterizza la commedia irriverente di Aristofane, ma anche in questo caso spicca un messaggio politico che afferma con decisione l’importanza della pace oltre ogni ridicola ragione di guerra. La scelta delle tre opere non è casuale: “Sono lavori portati sulla scena per la prima volta ad Atene fra il 415 e il 411 a.C., quando la città affrontava uno dei momenti più difficili di una lunga guerra che l’avrebbe vista, infine, sconfitta. Non a caso tutte e tre le opere sono impregnate di un forte antimilitarismo e mettono al centro immense personalità femminili le cui voci, attraverso le pareti del tempo, arrivano forti e chiare fino a noi per gridare che le donne sono le prime vittime di ogni conflitto e che ogni sforzo è lecito per il conseguimento della pace”.

L’edizione 2019 sta registrando un record di presenze e una grande capacità di networking che supera il confine siracusano. Tra le innovazioni più importanti di quest’edizione sono: la strategia di engagement adottata sui social network – gestiti da Gaspare Urso – l’introduzione di interpreti per rendere accessibile la rappresentazione ai turisti stranieri e la possibilità di finanziare il festival con attività di crowdfunding. “I siracusani – dice il consigliere delegato ed ex assessore- crescono a pane e teatro greco: assistere a un dramma antico al teatro di Siracusa è un vero e proprio rito di iniziazione per i bambini della mia città. È così da oltre un secolo ed io non faccio eccezione. C’è un’intera economia che ruota attorno ai mesi delle rappresentazioni e l’amore viscerale che condivido con i miei concittadini per questa forma d’arte non può che essere il valore aggiunto a quello che dal 1913 l’Inda rappresenta per il territorio”. Più che negli anni precedenti, però, quest’anno il Teatro greco di Siracusa rappresenta la forza di un’ideologia culturale.

Sul palco delle Troiane di Euripide sono stati montati 200 alberi caduti lo scorso ottobre nella Carnia, riciclati per costruire la scena e simboleggiare la solidarietà tra Nord e Sud. Ma ha un peso anche la scelta di partecipare alla Giornata mondiale del rifugiato in collaborazione con l’Unchr il 17 giugno e quella di coinvolgere – fuori e dentro il palcoscenico – attori e intellettuali come Paolo Rossi, Lella Costa, Luciano Canfora, Eva Cantarella, Claudio Magris. Questo in fondo è il compito che spetta all’Arte: attraversare i secoli per trasmettere un valore universale: l’umanità.

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