di Andrea Taffi

L’11 giugno 1984, da fresco 18enne, mi accingevo a votare alla mie prime elezioni (le Europee), che si sarebbero tenute sei giorni dopo. Erano altri tempi e la politica era qualcosa di ben diverso da quello che è adesso: diversi i toni; altri e di altro spessore i protagonisti. La campagna elettorale, poi, non si faceva in televisione, ma nelle piazze, sui palchi allestiti per i comizi. E proprio sopra uno di questi palchi, in uno dei tanti comizi per la campagna elettorale delle Elezioni europee, Enrico Berlinguer accusò il malore che, quattro giorni dopo (l’11 giugno, appunto), lo porterà alla morte.

Fino a quel giorno non avevo la benché minima idea di quale partito avrei votato; sapevo solo a chi non avrei dato il mio voto: la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale di Giorgio Almirante. La mia ignoranza politica può sembrare strana, ma (e non è una giustificazione) all’epoca la politica o la facevi (nei circoli, nelle piazze) e allora la conoscevi bene, oppure non la facevi e quindi non la conoscevi quasi per niente. Sapevo, però, che mia mamma e mia nonna votavano comunista e che lo facevano solo per lui, per Enrico Berlinguer.

Ricordo bene il 13 giugno, il giorno del suo funerale, perché fu trasmesso in televisione, perché c’erano migliaia e migliaia di persone che coloravano lo schermo del televisore con una grande macchia bianca e rossa: il bianco delle magliette che indossavano, il rosso delle bandiere che sventolavano. Ma soprattutto lo ricordo perché, davanti al televisore, mia mamma e mia nonna piangevano, insieme a tutta quella gente. Veder piangere i propri genitori e i propri nonni è sempre un’esperienza traumatica per un figlio, per un nipote. Eppure io sentii di poter tramutare quell’esperienza in qualcosa di positivo, e quel giorno capii chi avrei votato alle Europee: il Pci.

E quando il Partito Comunista Italiano, per la prima volta nella sua storia, superò la Democrazia Cristiana e divenne il primo partito d’Italia, provai emozione e orgoglio per aver contribuito a quel risultato. Chi era stato Berlinguer l’avrei scoperto solo dopo il suo funerale e quelle elezioni. E solo dopo avrei scoperto perché mia madre, mia nonna e tutta quella gente alla televisione piangevano. Eppure in quel triste giorno fu proprio quel pianto, del quale io ignoravo il motivo, a farmi capire quale dovesse essere (per me) la cosa giusta da fare.

Il ricordo di un uomo, di un politico come Enrico Berlinguer è molto difficile, perché su di lui tutto è già stato detto. Posso solo dire che il mio ricordo di Berlinguer è fissato dalla forza, istintiva e profonda, di un pianto, un pianto che io non ero in grado di fare, ma che tuttavia, pur incompreso, ha avuto la forza di cambiarmi. Per questo, ogni anno, mi piace ricordare Enrico Berlinguer: non solo per quello che io ho appreso da lui, dal suo modo di fare politica, ma soprattutto per quello che lui è stato in grado di trasmettere a tutte quelle persone che, a Roma o tra le pareti di casa mia, piansero la sua morte.

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