La drammatica vicenda della giovane Noa Pothoven, 17enne olandese morta la scorsa domenica ha fatto il giro del mondo, facendo deflagrare il dibattito sull’eutanasia legale. Mentre sul web e in tv fazioni di “pro choice” e “pro life” si affrontano sul tema tra chi difende la libertà di decidere di porre fine alla propria esistenza e chi invece sottolinea l’orrore di “uccidere” una minorenne, la versione diventata virale della storia di Noa presenta ancora molti lati oscuri.

Un dato è certo: il decesso della 17enne rimane un dramma qualunque siano state le dinamiche ma se invece di mettere fine alla sua esistenza con l’eutanasia, come sembra avesse voluto, si fosse lasciata morire di fame saremmo in presenza di due vicende molto diverse. Nel primo caso ci sarebbe un interesse pubblico, nell’altro no. E se fosse smentito il ricorso alla dolce morte, sarebbe un preoccupante corto circuito mediatico mondiale che ha portato centinaia di portali a rilanciare una storia non verificata, alla quale molti hanno aggiunto – come nel gioco il “telefono senza fili” – dettagli e interpretazioni privi di riscontro.

Ma facciamo un passo indietro, a domenica 2 giugno. Il quotidiano di Rotterdam AD, uno dei più letti nei Paesi Bassi, specializzato soprattutto nella cronaca locale, pubblica la storia titolando: “Noa ha compiuto 17 anni: ‘Ora sono libera perché la mia sofferenza era insopportabile'”. L’articolo di AD riprende in gran parte l’intervista del Gelderlander, quotidiano locale dello stesso gruppo di AD, che il 1 dicembre del 2018 aveva raccontato per primo la storia di Noa, intervistandola.

Nei due articoli, insieme al testamento su Instagram della ragazza, al momento uniche fonti sulla vicenda veniva spiegato bene che nel 2018 l’eutanasia era stata negata a Noa dalla clinica Levenseindekliniek de l’Aja perché troppo giovane. Sul Gelderlander l’eutanasia viene esplicitamente nominata solo perché i medici avrebbero detto no.

Da domenica 2 giugno a martedi 4 la notizia rimane chiusa nel circuito dell’informazione in olandese con un dettaglio rilevante: nessun quotidiano nei Paesi Bassi e nessun portale, oltre ad AD, parla della storia. La notizia, quindi, è rimasta per due giorni in olandese, ripresa solo dal portale fiammingo Het Laatse Nieuws. Poi alle 14 di martedi succede qualcosa: il britannico Daily Mail è il primo a tradurre la vicenda e ad inserire la parola “eutanasia” nel titolo.

Da quel momento, siamo ormai a metà pomeriggio, la turbina dell’informazione inizia a girare e in pochissimo tempo dall’Australia all’India, dall’ultraconservatore Breitbart, all’Independent tutti i media parlano della presunta eutanasia praticata a Noa. Tutti citano solo i due quotidiani olandesi e il suo account Instagram, ma ormai la storia inizia a cambiare forma e se i quotidiani italiani raccontano di equipe medica che ha praticato la dolce morte a domicilio, Euronews parla addirittura di una sentenza di un tribunale de l’Aja che avrebbe autorizzato l’eutanasia. Anche se le corti olandesi non mettono bocca su faccende di questo tipo. E nell’isteria mediatica generalizzata sembra che il solo portale ad aver mantenuto un livello di lucidità sia stato il britannico Daily Express che da subito aveva titolato, ignorato, morta per malnutrizione ma “non sono chiare le cause del decesso”.

Solo oggi, dall’Italia, il Corriere della Sera ha raggiunto il giornalista olandese del Gelderlander, Paul Bolwerk, autore dell’intervista a Noa che ha fornito un’interpretazione ufficiale della vicenda da lui raccontata. E ha, sostanzialmente, confermato che la giovane si sarebbe lasciata morire di fame.

Resta da capire il perché i giornali di mezzo mondo abbiano, tutti, attinto ad un’unica fonte, arricchendola di particolari frutto di errori di traduzione o in alcuni casi di informazioni inventate di sana pianta: chi ha autorizzato la dolce morte, se la clinica de l’Aja – come scrive AD – aveva detto esplicitamente no? Il caso, quando sarebbe finito in tribunale?

Tv e portali stanno facendo, in queste ore, marcia indietro. Anche ilfattoquotidiano.it, che nella giornata della diffusione della notizia ha riportato le agenzie di stampa; rettifiche, titoli aggiustati e “fact-checking” stanno spuntando ovunque sul web. Sul piano giornalistico è un epic fail: giornali e tv con largo seguito e reputazione hanno diffuso, senza verifiche, una storia pubblicata per primo in inglese da un portale-tabloid britannico che Wikipedia ha rimosso  dalla lista delle fonti attendibili, citando “scarso controllo delle fonti” tra le motivazioni. Un giornale scandalistico noto per le bufale, insomma. E in questa vicenda, purtroppo, questa sembra essere l’unica notizia di pubblico interesse.

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